Il direttore dell’ufficio stampa del Quirinale ci assicura che i 10 ‘saggi’ nominati da Napolitano per indicare “quali sono i problemi seri, urgenti e di fondo del paese”, “non sono generici saggi ma personalità scelte con criteri oggettivi in funzione del lavoro già svolto e del ruolo ricoperto”. Molti hanno già commentato sulla qualità di questi rappresentanti di un’epoca che, finalmente, volge al tramonto: dal compagno Quagliarello, sempre e coerentemente dalla parte giusta, a Luciano Violante, risolutore per eccellenza del conflitto d’interessi e dell’ineleggibilità di Berlusconi (col mandato di chi ancora non è del tutto chiaro, ma nei partiti democratici tutto si svolge alla luce del sole e in base alla volontà della maggioranza, giusto?).

Un giorno magari conosceremo quali sono questi imperscrutabili oggettivi criteri che sono stati usati per nominare cotanti saggi. La cosa più interessante al momento è capire quali saranno “i problemi seri, urgenti e di fondo del paese” che verranno identificati dai nostri. Tiriamo a indovinare quelli che non saranno visti: che la disoccupazione giovanile è arrivata al 40%, che il 64% dei giovani è disposto a emigrare, il 25% a essere sottopagato, mentre per il 58% dei giovani italiani, per i quali la precarietà è l’unico orizzonte, la legge Fornero è un disastro e il famoso sviluppo è sinonimo di tagli ai diritti e al costo del lavoro piuttosto che investimento in innovazione e ricerca. Forse, chissà, sarà questo il motivo per cui, in particolare ma non solo, i “giovani” hanno premiato l’unica parte politica che ha parlato di questi temi nella campagna elettorale, il Movimento Cinque Stelle?

Un paio di anni fa, durante un’importante e partecipata manifestazione contro l’approvazione della funesta legge Gelmini, ho avuto proprio questa sensazione: non c’era nessuno che stava provando a capire le ragioni degli studenti, dei ricercatori, dei “giovani”. Una manifestazione che camminava dentro la città e contemporaneamente galleggiava dentro un vuoto politico, culturale e intellettuale. Quel vuoto politico è stato occupato, in buona parte, dal M5S proprio perché non c’è stato nessun altro che si è interessato, al di là di limitati ma encomiabili tentativi, a questo macroscopico problema. Nessuno che ha cercato di o saputo sviluppare argomenti almeno per discutere con quella generazione che Monti dava per perduta (pazienza no?). E il Partito Democratico, come incoraggiamento, era troppo occupato a dichiarare che avrebbe governato con Monti anche se avesse avuto i 51%. Strano poi perdere, o non vincere, le elezioni.

E così mentre l’onorevole Quagliarello a vent’anni giocava con Mao Tse-tung, ora si ritrova, insieme a tanti altri ex-rivoluzionari di vario tipo, come quei leghisti, famosa costola della sinistra, che fino all’altro ieri invocavano la secessione da Roma con le carabine bergamasche, perfetto rappresentante di un sistema politico e culturale in putrefazione che ci spiega che Grillo e Casaleggio sono i novelli Hitler e Göring e i grillini un branco di pericolosi e psicolabili fanatici.

Oggi i ragazzi della stessa età di quelli che trenta o quaranta anni fa giocavano a fare i rivoluzionari, respinti da un paese che non ha spazio per loro, sono alla disperata ricerca magari non di una utopia ma almeno di una via d’uscita possibile da un presente plumbeo. Sicuramente sono un passo avanti a tutte le altre generazioni da cui sono circondati, malgrado siano stati abbandonati sia politicamente che culturalmente. La scuola e l’università che rappresentano la trasmissione di quel filo di sapere e di cultura tra le diverse generazioni, sono tra i sistemi che più hanno sofferto delle scellerate politiche degli ultimi anni, un misto tra incompetenza, furore ideologico e conflitti d’interesse di ogni tipo.

Il microcosmo universitario riflette bene, in piccolo, la devastazione avvenuta a livello di sistema paese. Da una situazione in cui già 5 o 10 anni fa l’università italiana reggeva il confronto internazionale, con scienziati di prim’ordine, con studenti che potevano tranquillamente competere con i loro colleghi stranieri, l’università sta precipitando verso una situazione di tipo post-sovietica. Una dismissione in grande scala che ha colpito soprattutto le generazioni più giovani bloccando l’accesso in maniera irreversibile a chi si presenta alle porte dell’accademia, tagliando borse di studio, fondi di ricerca, annullando la possibilità di carriera ai giovani ricercatori e deprimendo ogni velleità per quelli più anziani che vedono giorno dopo giorno disgregarsi il mondo sotto ai piedi. Ora se ne accorgono anche i rettori che fino a ieri hanno entusiasticamente appoggiato la legge Gelmini in cambio di qualche piatto di lenticchie.

È interessante anche osservare la direzione della nave alla deriva. La generazione ex rivoluzionaria, insieme con i nuovi arrivisti e arrampicatori di vario tipo, negli ultimi anni ha disegnato la rotta cercando di condizionare, per quanto possibile, il futuro prossimo e lasciando una pesante e farraginosa eredità da cui non sarà facile liberarsi: una rotta fatta apposta per mantenere il comando in assenza di comando. Cambiare questa situazione non sarà facile perché il timone è stato fatto saltare in aria. Tuttavia davanti ci sono solo scogli minacciosi che richiedono di trovare una via d’uscita: è arrivato il momento di avventurarsi per vie inesplorate.

 

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