Il giorno dopo il voto in parlamento sul matrimonio fra le persone dello stesso sesso, il Regno Unito si è svegliato “tormentato” da un paradosso, come la stampa ha messo bene in evidenza. Perché la campagna per le unioni gay anche nelle chiese che desiderino celebrarle, campagna voluta fortemente dal primo ministro David Cameron, è stata secondo molto “l’inizio della fine” della carriera politica del premier. Alle urne, ieri, è uscito infatti un partito conservatore spaccato a metà, con la maggioranza dei parlamentari Tory che ha votato contro o si è astenuta. Alla fine il matrimonio gay è passato con 400 voti a favore e 175 contro. Ma dei 303 deputati conservatori solo 127 hanno votato seguendo le indicazioni del loro leader. Il voto era libero, “secondo coscienza”. Ma la coscienza, fa notare oggi il quotidiano conservatore Daily Telegraph, “ha indebolito Cameron e questo sarà sicuramente un brutto colpo per il partito”.

Poco importa se questa piccola rivoluzione – anche se è solo un primo passo, la legge deve ora andare alla Camera dei Lord e poi tornare ai Comuni – è passata con una maggioranza di 225 voti. E poco importa anche che, fatto più unico che raro e comunque proibito, il pubblico presente nella galleria che sovrasta l’aula parlamentare abbia applaudito con foga alla lettura del conteggio finale dei voti. Ora a preoccupare è la tenuta stessa della maggioranza, sulla quale, tuttavia, lo stesso Cameron ha cercato di mettere il suo sigillo. “Le opinioni sono discordi – ha detto – ma il fatto che la maggioranza dei parlamentari abbia votato per il diritto delle persone omosessuali a sposarsi è un passo avanti per questo Paese e per la nostra società”. Come a dire, avevo ragione io, è la società che lo richiede, è l’era moderna che lo necessita. Eppure la Chiesa cattolica d’Inghilterra ha subito fatto sapere che userà le argomentazioni fatte proprie dai parlamentari che hanno votato contro per portare avanti la sua campagna. L’arcivescovo di Southwark, Peter Smith, proprio mentre a Westminster si votava faceva sapere: “Per noi il matrimonio è fra un uomo e la donna e serve al loro benessere e alla procreazione. Chi difende questa legge parla di uguaglianza. Noi diciamo che è una novità che porterà gravi conseguenze alla società britannica”.

Celebrano il momento, invece, tutte le associazioni di lesbiche, gay, bisessuali e transgender del Regno Unito, da Stonewall alla Peter Tatchell foundation. Qualche personalità del mondo omosessuale, nei giorni scorsi, si era detta contraria, sostenendo che voler inseguire a ogni costo gli eterosessuali sul fronte del matrimonio significava snaturare l’essenza del mondo gay, quel suo essere contro la cosiddetta “normalità”. E sul concetto di normalità, ieri, durante il dibattito alla House of Commons, il parlamentare nero e laburista David Lammy ha tenuto un discorso celebrato oggi da tutta la stampa britannica. “Separati ma uguali è il linguaggio che cercò di tenere Rosa Parks confinata nel fondo dell’autobus. Ed è il linguaggio che fece sì che neri e bianchi non potessero bere alla stessa fontana e mangiare alla stessa tavola. Gli omosessuali oggi non vogliono essere separati ma uguali, come gli oppositori al matrimonio gay pretendono che siano, ma vogliono essere uguali in tutto e per tutto”. Discorso ripreso, oggi, anche da Owen Jones, giovanissimo giornalista e commentatore omosessuale di punta, che dalle colonne dell’Independent ha tenuto a precisare: “Per secoli ci hanno sputato addosso, ci hanno relegato nel retroscena della società e Westminster dista meno di un chilometro da Trafalgar Square, dove 40 anni fa esatti si concludeva la prima marcia degli omosessuali britannici, fronteggiati dai poliziotti, che superavano in numero gli stessi gay. Oggi, se abbiamo ottenuto questo risultato, non dobbiamo essere troppo grati a questi parlamentari che hanno votato la legge. È stato un enorme sacrificio, tutto nostro, che ci ha portato fin qui. Non dimenticatelo mai”.

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