“Pozzanghere di sangue”, “urla disumane”, pestaggi bestiali di “anziani claudicanti” e “ragazze nei sacchi a pelo”. Così Vincenzo Canterini, allora comandante del Reparto mobile di Roma, racconta del blitz alla scuola Diaz, la notte del 21 luglio 2001 al termine del G8 di Genova. Il brano è tratto dal libro Diaz, che il dirigente di polizia oggi a riposo ha scritto con i giornalisti Gian Marco Chiocci e Simone di Meo per Imprimatur editore.  

Un casino infernale. Gli anfibi degli agenti rimbombavano sordi inciampando sui contusi e slittando sopra vetri rotti, vestiti strappati, pozzanghere di sangue. Giuro, erano pozzanghere. Dietro la porta che dava sulla palestra notai i primi feriti, piangevano accasciati contro la parete. Urla disumane, terrificanti, sembravano provenire dall’aldilà. Vidi gente calpestata dalle scarpe dei poliziotti. Presi la via delle scale facendo lo slalom tra panche rovesciate e gli ultimi agenti che mi sorpassavano mentre salivo. Avevo deciso di fare un sopralluogo in tutti i piani, ma il proposito sarebbe rimasto tale, a causa di ciò che vidi non appena alzai il piede dall’ultimo gradino della rampa.

La mia vita andò in testacoda. Mi bloccai appena mi si presentò davanti agli occhi lo scannatoio al primo piano. Inizialmente pensai a un campo di battaglia dovuto a violente resistenze. Perché resistenze, checché se ne dica, a cominciare dalle cancellate sprangate e dagli oggetti lanciati dalla finestre, ve ne furono molte tra gli occupanti. Gli abusi dei rappresentanti dello Stato ci furono e furono ingiustificabili. Ma alla Diaz non fu tutto bianco e nero, i manifestanti non erano tutti buoni e i poliziotti non erano tutti cattivi. I miei capisquadra, per dire, raccontarono di scontri cruenti. (…)

Ma i veri demoni, quelli che hanno approfittato dell’impunità dopo aver goduto a percuotere anziani claudicanti e ragazze nei sacchi a pelo, erano vestiti in jeans e maglietta con il fratino “polizia”. Erano quelli che indossavano la divisa “atlantica”, i caschi lucidi e i cinturoni bianchi (i nostri U-Boot erano invece opachi, i cinturoni neri). Erano anche gli appartenenti, così si diceva nell’ambiente, a un misterioso gruppo operativo speciale ribattezzato Gos, da non confondere con i Gom della Penitenziaria, e di cui mi parlò con dovizia di particolari un noto sindacalista di polizia che a tanti guai andò incontro per aver avuto l’ardire di interrogare testualmente così il ministro dell’Interno e il capo della polizia: «Con la massima cortesia e urgenza si chiede di sapere» se per davvero esista «un qualche organismo della polizia denominato Gos, ovvero Gruppo operativo speciale, quando sia stato istituito, chi ne è a capo, chi lo componga, come sia stato selezionato il personale che ne fa parte, quali siano le sue competenze e se sia stato in qualche modo utilizzato durante l’ultimo G8 tenutosi a Genova e, nel caso, in quali occasioni». 

di Vincenzo Canterini
da Diaz (Aliberti editore)

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