La proroga è scaduta lo scorso 31 dicembre e ora per i precari sono guai seri. Sì, perché nel disinteresse dei partiti e nel silenzio dei giornali, è tornato in vigore il Collegato Lavoro, la normativa che renderà la vita impossibile ai lavoratori atipici che vorranno impugnare il proprio contratto davanti a un giudice. E’ la Legge 183 approvata il 24 novembre 2010 e poi, dopo un’ondata di polemiche, sospesa fino al 31 dicembre 2011. E il ministro Elsa Fornero, impegnata nella riforma del mercato del lavoro che porta il suo nome, non ha nessuna intenzione di mettere mano al testo prima varato, poi messo nel congelatore dal precedente governo.

E ora torna tutto come prima: il lavoratore atipico che deciderà di fare causa al suo datore di lavoro (il caso più comune è quello in cui dietro un contratto precario si nasconde un rapporto di lavoro dipendente a tutti gli effetti) avrà tempo massimo 60 giorni, dopodiché non potrà più rivendicare nessun diritto. Tradotto in parole povere significa che chi è stato licenziato o ha terminato la collaborazione prima di capodanno, se ritiene che le condizioni di lavoro non fossero corrette, potrà andare da un avvocato entro e non oltre il primo marzo.

Il problema è il limbo temporale che scorre fra un contratto scaduto e un altro forse in arrivo può essere ben superiore ai due mesi. Anzi, un datore di lavoro può far trascorrere i famosi 60 giorni con la promessa del rinnovo e al 61esimo rimangiarsi la parola. A quel punto per il precario non c’è più niente da fare.

Ma le insidie non finiscono qui. C’è un’ulteriore trappola per i “contrattisti multipli”, quei precari che hanno sottoscritto più di un contratto con la stessa azienda. Se un lavoratore ha firmato per esempio cinque collaborazioni con lo stesso datore in un anno, potrà impugnare (sempre entro e non oltre i famosi 60 giorni) davanti a un giudice solo l’ultimo rapporto di lavoro. Il risultato? Molte meno possibilità di vincere: se la causa riguarda un solo contratto di due mesi e non tutti quelli firmati, l’azienda avrà gioco facile a dimostrare la “temporaneità” dell’impiego.

C’è anche un’ultima fregatura legata al termine-capestro dei 60 giorni: il licenziamento orale. Prima dell’entrata in vigore del Collegato lavoro, il padrone era obbligato a comunicare la cessazione del rapporto in forma scritta, quindi con una lettera e una data precisa. Ora l’azienda potrà bloccare il processo semplicemente trovando dei testimoni disposti a dichiarare il falso: che il licenziamento (orale) c’è stato prima della data indicata dal lavoratore.

Nel caso il precario, districandosi fra le mille insidie, riesca a vincere la propria causa di lavoro non si aspetti che il datore gli riconosca il “mancato guadagno”. Prima di questa legge le aziende quando perdevano in tribunale erano obbligate a corrispondere al lavoratore tutti gli stipendi in cui era rimasto a casa. Ora non sarà più così: l’indennità per l’ex dipendente andrà da un minimo di 2,5 a un massimo di 12 mensilità. Peccato che in una causa di lavoro da quando un avvocato deposita il ricorso alla prima udienza passano quasi sempre due anni. Poi c’è il processo che può durare anni. E se per tutto quel tempo il lavoratore rimane a casa? Fatti suoi, il massimo a cui può ambire sono 12 mesi di rimborso.

La riforma Fornero prevede un contratto unico al posto dello spezzatino imposto dalla Legge 30 (la Riforma Biagi) del 2003. Potrebbe essere un primo passo per tutelare i lavoratori atipici? E’ ancora tutto da vedere. Ma certamente gli strascichi di 15 anni di politiche della precarietà (dal Pacchetto Treu del 1997) peseranno ancora a lungo sulla vita di milioni di cittadini. Soprattutto ora che, grazie al Collegato Lavoro, in tribunale sarà ancora più difficile fare valere i propri diritti.

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