Il 25 dicembre 2011, all’età di 91 anni, è scomparso Giorgio Bocca, uno dei più grandi giornalisti della storia del nostro paese. Tra i grandi protagonisti delle cronache italiane, Bocca ha raccontato nei suoi articoli e nei suoi libri l’ultimo mezzo secolo con rigore analitico e passione civile, improntando sempre il suo stile alla sintesi e alla chiarezza.

Nato a Cuneo il 28 agosto del 1920, Bocca iniziò a scrivere già a metà degli anni ’30, su periodici locali e poi sul settimanale cuneese La Provincia Grande. Durante la guerra si arruolò come allievo ufficiale alpino e dopo l’armistizio fu tra i fondatori delle formazioni partigiane di Giustizia e Libertà. Riprese allora l’attività giornalistica, scrivendo per il giornale di GL, poi lavorando per la Gazzetta del Popolo, per l’Europeo e per Il Giorno e segnalandosi per le grandi inchieste.

Nel 1976 fu tra i fondatori del quotidiano la Repubblica, con cui ha sempre continuato a collaborare. Al suo attivo, in una carriera cinquantennale, anche numerosi libri, che spaziano dall’attualità politica e dall’analisi socioeconomica fino all’approfondimento storico e storiografico, senza mai dimenticare la sua esperienza partigiana. Tra le sue opere: Storia dell’Italia partigiana (1966); Palmiro Togliatti (1973); La Repubblica di Mussolini (1977); Il terrorismo italiano 1970-78 (1978); Il provinciale. Settant’anni di vita italiana (1992); Piccolo Cesare (2002, dedicato al fenomeno Berlusconi, libro che segnò il passaggio di Bocca da Mondadori, suo editore da oltre dieci anni, a Feltrinelli); Le mie montagne (2006); E’ la stampa, bellezza (2008). Annus Horribilis, Milano, Feltrinelli (2010).

Nell’aprile 2008 Bocca ha vinto il premio Ilaria Alpi alla carriera. Encomiabili le sue parole: “Tutti quelli che fanno ilgiornalismo lo fanno sperando di dire la verità: anche se è difficile, li esorto e li incoraggio a continuare su questa strada”. Una sorta di testamento ideologico, come quello che l’11 gennaio uscirà in tutte le librerie italiane: “Grazie no. 7 idee che non dobbiamo più accettare” (Feltrinelli).

Bocca rimane l’Antitaliano, come si chiamava la sua celebre rubrica sull’Espresso, fino all’ultimo giorno. La ricerca della verità, accompagnata dal rigore analitico, dalla passione civile, da uno stile fatto di sintesi e chiarezza e fortemente segnata dal suo carattere, un mix di disciplina sabauda, curiosità severa e vis polemica.

Il cordoglio per la scomparsa del grande giornalista è unanime. Dalle più alte cariche dello Stato al mondo del giornalismo, della cultura e della politica. Giorgio Napolitano ha voluto ricordarlo così: “Figura di spicco del movimento partigiano rimasto sempre coerente con quella sua fondamentale scelta di campo per la libertà e la democrazia”. Parole simili quelle usate anche dal presidente dell Camera Gianfranco Fini: “Fiero della sua storia partigiana e profondamente ispirato al valore dell’etica pubblica, Bocca si è confermato un analista brillante delle vicende politiche italiane rappresentando sempre una significativa indipendenza di giudizio. Il suo insegnamento rimarrà nel mondo del giornalismo e della cultura dell’Italia come grande fonte di ispirazione di valori civili”.

“Con Giorgio Bocca scompare uno degli ultimi grandi protagonisti del giornalismo dell’epoca repubblicana del nostro paese. Un giornalista e un cittadino libero, coerente sino in fondo, che per denunciare le storture e le deviazioni e il decadimento della democrazia italiana non ha mai avuto bisogno di rinnegare la Resistenza e quanto essa ha costituito per la rinascita del paese liberandolo dal fascismo”, ha detto Franco Siddi, segretario della Federazione nazionale della Stampa italiana.

Domani a Milano ci saranno i funerali, la famiglia, come è comprensibile, ha chiesto di vivere privatamente il lutto per la scomparsa del loro familiare.

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