Lo scorso 24 novembre ricevo una mail più tosta delle altre. Era il rapporto sulla condizione sociale ed economica delle donne in Italia scritto da Roberto Cicciomessere per Italia Lavoro. È un documento complesso, 200 pagine impossibili da riassumere in un post. E tuttavia, già dal sommario, le notizie sono sconfortanti. Perché, diciamolo, anche soltanto parlare della questione donne e lavoro (che è l’ambito in cui ce la caviamo meglio, rispetto agli altri indicatori che sono salute/istruzione/famiglia/violenze), la fotografia è e rimane infelice.Provo a metter uno dietro l’altro semplicemente i titoli di quello che potrebbe tranquillamente essere un Wikiwomen, per dirlo alla Renzi.

Cominciamo dunque.Negli ultimi 27 anni la crescita delle donne attive ha compensato la flessione degli uomini. E tuttavia meno di una donna su due è occupata; nel Mezzogiorno meno di un terzo. Inoltre, il tasso d’occupazione delle donne straniere più alto di quello delle donne italiane. Sapete cosa significa? Che siamo in poche a fare lavori “intellettuali”. A “poter” anche solo pensare di vivere, pensando.

La notizia fa il paio con il tasso di occupazione delle donne italiane laureate: è il più basso fra tutti i paesi dell’Unione Europea. Le donne, inoltre, sono più presenti nelle professioni impiegatizie, del commercio, dei servizi e in quelle poco qualificate. Dato accentuato dalla crisi, che ha visto la caduta dell’occupazione femminile qualificata e ha aumentato quella non qualificata.

Situazione desolante? Ebbene sì. Basta guardare le donne al vertice di aziende  e all’interno di organismi decisionali: sono e rimangono pochissime, nonostante nelle grandi aziende costituiscano la metà del personale attivo. Nelle piccole e medie imprese, invece, solo un terzo dei dipendenti è costituito da donne. E in ogni caso, tutte guadagnamo il 72% del salario degli uomini.Vuol dire più di un quarto in meno.

Ma veniamo al capitolo disoccupazione. Il tasso di disoccupazione giovanile è molto alto, ma quello delle donne è nettamente superiore (e questo lo ha capito anche Monti, e vabbé). Poi. Questione tempo. Il part-time è poco diffuso fra le lavoratrici e per quasi la metà non è una libera scelta. È un obbligo lavorare “full”. Forse per questo l’Italia è il paese europeo dove più alta è la percentuale di coppie nelle quali lavora solo l’uomo? E di conseguenza, forse, dove le donne occupano maggiore tempo per i lavori domestici?

Ricordo che: le donne si occupano del lavoro familiare per quasi 8 ore, gli uomini per poco più di un’ora. Che solo il 9% degli uomini usufruisce del congedo dal lavoro per accudire i figli dopo la nascita mentre il tasso di occupazione delle donne italiane diminuisce con l’aumento del numero dei figli. Che più di una donna su quattro lascia il lavoro per maternità o per prendersi cura dei figli. Che oltre la metà delle donne che hanno interrotto il lavoro per gravidanza è stata licenziata o costretta a dimettersi, Che solo sedici bambini su cento usufruiscono degli asili nido pubblici e privati. Che il 25% delle richieste di asilo nido non viene accolta. Che solo il 4% delle donne italiane lavora da casa.

Questo è il mio piccolo contributo alla giornata di oggi, dedicata a Se non le donne, chi?. Contestualmente, online, il giornale che dirigo, Women, inaugura il proprio sito. Mi farebbe piacere ricevere commenti. Lo trovate qui: www.womenMag.eu

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