Come in una porta girevole, in questi giorni arruffati in cui il governo è alla ricerca disperata di soldi, l’idea di vendere pezzi del patrimonio dello Stato per fare cassa entra ed esce dalle stanze di palazzo Chigi. Ma poi si scopre che non esiste neppure uno straccio di censimento della reale consistenza immobiliare, neanche per le caserme che invece, secondo la disinformacja governativa, sarebbero lì belle pronte in attesa di acquirenti vogliosi. Le caserme e i beni della Difesa (terreni, fari, forti, magazzini, polveriere) ci sono e tanti, presumibilmente con un valore ingente, dell’ordine delle decine e decine di miliardi di euro. Ma nessuno sa con precisione quanti siano quelli disponibili e tanto meno di quanti metri quadrati si parla.

Sembra impossibile, ma è così. Ci ha battuto il naso anche Paolo Cirino Pomicino che con grande sorpresa ha dovuto constatare che per la vendita dei beni militari siamo ancora all’anno zero, o quasi. Ex luogotenente di Giulio Andreotti, ex potentissimo presidente della Commissione bilancio della Camera, più volte ministro ai tempi della Prima Repubblica e infine coinvolto nella vicenda Enimont e condannato, Pomicino è uno che di vendita del patrimonio pubblico se ne intende. Esattamente vent’anni fa varò la prima società ad hoc, Immobiliare Italia, ed ora non è affatto ostile a questo governo, anzi, in qualche modo ne fa parte. Su proposta di Gianfranco Rotondi, ministro per l’attuazione del programma, è stato nominato presidente di un Dipartimento di palazzo Chigi, il Comitato tecnico-scientifico per il controllo strategico nelle amministrazioni dello Stato. Un incarico «svolto a titolo gratuito», come lui stesso insiste a precisare. In quella veste Pomicino chiede con insistenza da 11 mesi al ministero della Difesa e a mezzo governo l’elenco dettagliato dei beni. Inutilmente. Dopo tanto tempo sprecato e una corrispondenza fitta con il ministro Ignazio La Russa, il suo capo di gabinetto, generale di Corpo d’armata Claudio Graziano, il sottosegretario Guido Crosetto, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, sconsolato Pomicino si è rivolto pure ad Antonio Martone, presidente di un’altra commissione governativa dal nome altisonante, Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle pubbliche amministrazioni (Civit), un organismo presentato come uno strumento formidabile per l’efficienza delle mezze maniche statali, voluto con caparbietà dal ministro Renato Brunetta.

Martone, che per quell’incarico prende 165 mila euro all’anno mentre i commissari 135, ha risposto a Pomicino che l’affare non lo riguarda, limitandosi ad esprimere un generico auspicio di circostanza, cioè «che nel frattempo il problema possa aver trovato una soluzione, anche parziale». Caustico, Pomicino gli ha risposto con una lettera al fulmicotone di tre righe: «Non pensavo che la scarsa efficienza dei dirigenti del Demanio militare non fosse di competenza della commissione da te presieduta». Quindi lo ha invitato «con amicizia» ad un incontro «per capire finalmente che cosa fa la tua commissione».
Il carteggio tra Pomicino e i ministri è una specie di metro per misurare tutta la distanza che separa le roboanti velleità governative e la sconsolante pedestrità dell’azione effettiva. La prima lettera è del 15 ottobre di un anno fa. Pomicino chiede alla Difesa «il numero di edifici con il complessivo numero di metri quadrati utilizzati dal ministero e dalle quattro armi». Dieci giorni dopo il capo di gabinetto del ministro gli risponde buttando la palla in corner: «E’ attualmente in fase di implementazione una mappatura completa e particolareggiata» e senza fissare date e termini promette che quando i dati saranno pronti «sarà cura di questo Dicastero» fornirli. Passano appena quattro giorni e Pomicino segnala «con grande disappunto» la faccenda a Gianni Letta e al ministro Rotondi. Facendo fatica a credere che la lista non esista, insinua il dubbio che il capo di gabinetto non abbia comunicato i dati, pur avendoli, perché «qualcuno» gli ha detto di fare così, presumibilmente il ministro La Russa intenzionato, magari, a gestire in prima persona l’interessante affare della vendita delle caserme. Pomicino insiste e fa notare che, se «la mappatura è in fase di implementazione», come dice il capo di gabinetto, vuol dire che ci sarebbe un elenco più vecchio, che però non è saltato fuori.

La desolante verità è che probabilmente non esiste proprio alcun elenco. Una quindicina di giorni dopo, novembre 2010, anche Letta scrive a Pomicino e con il solito stile di dire sempre sì a tutti tanto non costa nulla, gli assicura che «il ministero della Difesa fornirà riscontro agli elementi richiesti». Due mesi dopo, però, il sottosegretario Crosetto riporta la faccenda al nastro di partenza e annunciando decisive «sinergiche e interattive azioni» tra l’Area tecnico-operativa e quella tecnico-amministrativa del ministero, alla fine comunica a Pomicino che la lista «è in continuo divenire». Quindi non disponibile. In primavera Pomicino si rivolge al presidente Martone e Martone gli risponde picche. D’estate Pomicino insiste. Nulla. Siamo a un passo dall’autunno, sentito dal Fatto Crosetto assicura che la lista negata a Pomicino ci sarebbe e a riprova della sua esistenza manda questi 2 messaggini per telefono. Primo: «Infrastrutture Difesa 5.815 di cui 1.763 di reale valore». Secondo: «Esclusi gli alloggi». Punto. Ottimo e abbondante per la truppa.

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