Roberto Calderoli, principale autore della legge elettorale "Porcellum" in vigore dal 21 dicembre del 2005

E adesso come si riprendono la parola quei 27 milioni di cittadini che hanno votato ai referendum? Le elezioni, per quanto nell’aria, non sono nel prossimo orizzonte. Per di più, quando arriveranno, non saranno esattamente una botta di democrazia. Si vota sì, ma pur sempre liste bloccate, decise dai partiti. A meno che a qualcuno non venga in mente di provare ad abrogare pure quelle. Un nome c’è già. Si chiama Stefano Passigli, è un ex parlamentare dei Ds e di professione fa il politologo. Lui – già in passato protagonista di campagne referendarie (una volta si inventò perfino un Comitato per l’astensione) – ne parla da anni, da quando è nato il Porcellum, nel 2005. La legge elettorale battezzata dal suo ideatore, Calderoli, una “porcata”, ha introdotto novità mai digerite dai più autorevoli costituzionalisti: il premio di maggioranza diverso tra Camera e Senato, un’infinità di soglie di sbarramento in base al grado di coalizione dei partiti. Ma soprattutto l’impossibilità per gli elettori di scegliere gli eletti. Chi capita capita, lo ha deciso il Palazzo. Ora Passigli ha pensato che è il momento giusto per tentare lo scossone. I referendum sono stati un successo, forse è il momento di sfruttare l’onda.

La presentazione ufficiale dei quesiti arriverà giovedì, domani. E dal comitato non vogliono far filtrare nulla. Ma qualche indiscrezione era già stata raccolta dall’agenzia TM News un paio di settimane fa. Passigli sostiene di aver ricevuto “sufficienti garanzie” da parte dei partiti: lo appoggeranno, nonostante il referendum sia interamente promosso dalla società civile. Tra i nomi che hanno aderito al comitato, i direttori d’orchestra Claudio Abbado e Maurizio Pollini, la scrittrice Dacia Maraini, gli architetti Renzo Piano e Gae Aulenti, il penalista Federico Grosso, l’oncologo Umberto Veronesi, e Inge Feltrinelli. Conferma il suo Sì anche Innocenzo Cipolletta, economista e già presidente di Confindustria.

Va detto: i tempi sono stretti. Per riuscire a votare l’anno prossimo, le firme (ne servono 500 mila) andrebbero raccolte entro il 30 settembre. A novembre la Cassazione potrebbe così pronunciarsi sull’ammissibilità dei quesiti e si arriverebbe al voto in primavera. E se arrivassero prima le elezioni? L’unico modo per anticipare i tempi è che sia il Parlamento a darsi da fare. Lo spiega lo stesso Passigli: “Noi ci auguriamo che i partiti siano nelle condizioni di trovare un accordo. Se invece i veti reciproci non verranno meno, c’è un’iniziativa referendaria pronta a cambiare una legge elettorale che consideriamo la peggiore delle possibili”.

In Parlamento, in effetti, non regna l’ottimismo: il segretario del Pd Bersani, intervistato da Repubblica, ha detto che la riforma elettorale “aveva poche chance prima e ne ha poche adesso”. “Finché c’è Berlusconi è impossibile”, concorda l’Idv Di Pietro. Ma i due leader dell’opposizione hanno due exit strategy diverse: Bersani ieri ha ricordato che deve essere “sempre certificata la disponibilità del Pd a considerare l’ipotesi di una riforma elettorale”. E, dunque, di un governo tecnico per farla. A Di Pietro sembrano “scuse per non andare a votare”: la legge elettorale va cambiata perché “è una porcata” ma comunque non sufficiente a digerire “governi tecnici, istituzionali o ammucchiate del genere”. Del referendum, lui che ha promosso i quesiti su nucleare e legittimo impedimento, ha già avuto modo di discutere: “Può essere uno stimolo – spiega a proposito della proposta di Passigli e altri – ma non possiamo fermarci a quello perchè è possibile che si vada a votare prima”.

La Lega non perde occasioni per ripetere che se la maggioranza entra in crisi, si riaprono le urne: “Siamo indisponibili a qualsiasi manovra di Palazzo o a ipotesi di governo tecnico e di transizione”, ha detto ancora ieri il capogruppo Reguzzoni. E ieri, perfino il Pdl ha detto la sua. Tra le varie ipotesi depositate al Senato dal capogruppo Quagliariello, c’è quella di “liste sempre bloccate ma con un numero minore di candidati, in modo che l’elettore, anche se non sceglie direttamente i propri rappresentanti con le preferenze, può comunque meglio individuare i potenziali deputati e senatori, rispetto a quanto avviene con le liste molto ampie previste attualmente”. Ridurre la scelta per limitare il danno. Bella trovata: pur di non restituirci il diritto di scegliere, vogliono levarci anche il gusto dell’immaginazione.

da il Fatto quotidiano del 16 giugno 2011

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