“I do not speak English”. Resta fermo il No dell’Italia al brevetto europeo in inglese, francese e tedesco, le tre lingue di lavoro dell’Ue. Il rifiuto dell’Italia rischia di far saltare una procedura che va avanti da decenni e che porterebbe a un unico brevetto europeo uguale in tutti i Paesi Ue con un notevole abbattimento dei costi e una maggiore competitività a livello internazionale.

Una mera questione linguistica è alla base del no dell’Italia, unico Paese in Europa, dopo l’apparente passo indietro della Spagna, contrario all’utilizzo delle tre lingue ufficiali dell’Unione. Questo brevetto europeo andrebbe a sostituire quelli attuali nazionali e sarebbe riconosciuto in tutta l’Ue. Così facendo si abbatterebbero i costi per chi vuole registrare una qualsiasi invenzione e proteggerne i diritti di proprietà per un massimo 20 anni. Si cancellerebbero così gli onerosi costi di traduzione nelle altre lingue e di convalida a livello nazionale. Un brevetto standard valido in 13 Stati costa oggi circa 20mila euro contro i 1.850 euro negli Stati Uniti. Il brevetto europeo abbasserebbe la spesa a circa 6.200 euro, grazie soprattutto al risparmio nelle traduzioni, che passerebbero dai 14mila euro di media a soli 680.

Proprio l’attuale esosità dei brevetti nazionali, secondo la Commissione europea, “scoraggia l’attività di ricerca, sviluppo, innovazione ed indebolisce la competitività dell’Europa”. D’altronde una sorta di brevetto europeo esiste già in inglese, francese e tedesco, e dipende dall’Ufficio europeo dei brevetti (UEB), un organismo intergovernativo che comprende 37 Paesi (27 dell’Ue e 10 europei ma non Ue). Il problema è che questi brevetti hanno bisogno di essere convalidati a livello nazionale, con altre spese amministrative e di traduzione. E ci si ritrova punto e a capo.

“Affinché l’Europa possa essere competitiva a livello mondiale è necessario promuovere l’innovazione. Oggi questo non avviene perché ottenere un brevetto è troppo complicato e costoso. Un brevetto UE valido in tutti gli Stati membri sarebbe di fondamentale importanza per promuovere l’attività di ricerca e sviluppo e trainare la futura crescita. La proposta odierna rappresenta una buona notizia per l’innovazione in tutta Europa, in particolare per le piccole imprese. Spero che gli Stati membri agiscano rapidamente per fare in modo che il brevetto UE possa diventare una realtà”, questo il parere di Michel Barnier, commissario per il Mercato interno e i servizi.

Non della stessa idea le autorità italiane, che già lo scorso luglio, di fronte alla proposta presentata dalla Commissione europea avevano risposto picche. “Questa posizione è francamente inaccettabile – aveva replicato l’allora ministro alle Politiche europee Andrea Ronchi – l’Italia non è disposta ad avvallare un regime fortemente discriminatorio e penalizzante per le sue imprese”. Posizione condivisa da alcuni eurodeputati di destra e sinistra, che con una nota congiunta al Parlamento europeo giudicano “la posizione assunta da Barroso come illegittima e discriminatoria. La proposta sarebbe molto dannosa per la competitività delle imprese italiane in un momento critico per l’economia”.

Sta di fatto che l’Europa sembra pronta ad andare avanti da sola, avvalendosi di una nuova procedura prevista dal trattato di Lisbona (“Enhanced cooperation”) che consente a tirare dritto se almeno 9 Paesi siano d’accordo. Pronti a lasciare indietro l’Italia sono già in 14 (Francia, Germania, Gran Bretagna, Belgio, Lussemburgo, Olanda, Svezia, Danimarca, Portogallo, Polonia, Slovenia e Romania) anche se, secondo gli esperti, si tratta solo di una “tattica di pressione”. Se così non fosse l’Italia si troverebbe tagliata fuori da un circuito virtuoso nel mercato interno Ue, e tutto per una mera motivazione linguistica. Ma i rappresentati italiani restano convinti che un brevetto Ue a tre lingue danneggerebbe le imprese italiane, dal momento che queste si troverebbero lo stesso a dover tradurre tutto in italiano. D’altronde la refrattarietà nostrana per le lingue straniere è storia vecchia.

Sta di fatto che, dopo il passo indietro fatto dalla Spagna, l’Italia si trova solo nella sua battaglia, sola con un mezzo appoggio dalla Polonia, disposta ad un altro giro di consultazioni. Nel 2009 l’European Patent Office (EPO) ha registrato 134.542 brevetti: in testa la Germania (25.107), seguita da Francia (8929), Olanda (6 738), Regno Unito (4.821) e Italia (3.881).

Non fanno ben sperare le dichiarazioni di José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, dello scorso luglio: “Sono decenni che ne discutiamo. È venuto il momento di stringere anche grazie all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Non si tratta di fare un concorso di bellezza tra la lingua più bella ma di trovare la soluzione più efficiente che tagli i costi del brevetto in Europa”.

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