Tutte le volte che il Dell’Utri di turno viene trovato troppo immischiato con la mafia, nugoli di sguatteri del regime ci ammorbano con una lunga serie di menzogne disoneste.

Fra queste c’è quella secondo la quale l’ipotesi delittuosa del concorso c.d. esterno in associazione mafiosa sarebbe una “montatura” dei magistrati. Un reato inesistente nella legge, inventato dai magistrati per perseguitare politici galantuomini che, avendo bisogno di un eroe da ammirare, scelgono Vittorio Mangano.

La verità è, invece, un’altra.

L’art. 110 del codice penale dispone che “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti”.

Chi ha studiato giurisprudenza, sa che l’art. 110 del codice penale punisce le cc.dd. “condotte atipiche”.

Faccio un esempio facile con l’omicidio.

Chi spara a un uomo e lo ammazza commette la condotta “tipica” descritta dall’art. 575 c.p.: “Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno”.

Ma che si fa se Tizio dice a Caio: “Senti, devo ammazzare Sempronio, ma non trovo una pistola. Tu me ne potresti prestare una che funzioni bene? Ci ammazzo Sempronio e te la restituisco”?

Caio presta la pistola a Tizio, sapendo che lui la userà per uccidere Sempronio e proprio perché possa uccidere Sempronio.

Ma Caio non commette la condotta di cui all’art. 575 c.p. e non spara materialmente a nessuno.

Se non ci fosse l’art. 110 del codice penale Caio non verrebbe punito.

In forza dell’art. 110 c.p. chi concorre in un omicidio risponde dell’omicidio.

Nell’esempio che ho appena fatto, Caio ha concorso con Tizio nell’omicidio di Sempronio – in particolare fornendo intenzionalmente l’arma per il delitto – e viene, quindi, punito ai sensi del combinato disposto (così si dice in gergo) degli artt. 110 e 575 del codice penale. Questa cosa si fa ogni giorno con mille e mille reati e mille e mille delinquenti.

Dunque, l’art. 628 c.p. punisce la rapina, disponendo che “chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da 516 euro”.

Il palo che sta fuori dalla banca non minaccia nessuno e non si appropria di niente. Fa il palo fuori dalla banca, mentre i suoi complici rapinano.

Il palo viene punito applicando l’art. 110 c.p.. Altrimenti non verrebbe punito.

E così chi presta il suo casolare di campagna per custodire un rapito, risponde del rapimento. E chi passa i codici del sistema d’allarme ai ladri risponde del loro furto. E così via.

La domanda allora è: perché mai queste regole che valgono per tutti i reati non dovrebbero valere anche per l’associazione a delinquere di tipo mafioso?

Solo perché in questa cosa sono coinvolti anche politici importanti, amici di altri politici importanti?

Si dice: il reato di associazione a delinquere è “particolare”, o uno è associato o non lo è; il concorso c.d. esterno non è ipotizzabile.

E’ una menzogna vergognosa.

Anziché spendere mille parole, faccio un esempio.

Io faccio il magistrato, sono nato e vivo in Sicilia. Immaginiamo che mi venga a trovare Pippo, un mio vecchio compagno del liceo e mi dica: “Caro Felice, come sai io faccio parte di una cosca mafiosa. La mia cosca è in pericolo, perché la polizia ci cerca con tutti i mezzi. Abbiamo bisogno di una casa dove riunirci senza temere di essere sorpresi. So che tu hai una casa al mare che usi poco. Ti vorrei chiedere se ce la presti per le riunioni della mia cosca. Essendo la casa di un magistrato, la polizia non sospetterà nulla”.

Immaginiamo che io, essendo un verme, dica: “Senti Pippo, noi siamo stati compagni di scuola e ci siamo voluti bene. Siamo rimasti amici anche per tutti gli anni successivi. Io, in relazione al fatto che faccio il magistrato, non voglio essere coinvolto nella tua cosca e non ne voglio fare parte. Ma se ti serve casa mia, ecco le chiavi”.

Le domande sono le seguenti:

1. Si può dire che io faccia parte della cosca mafiosa di Pippo? Certamente no, perché non ho fatto nulla per associarmi e ho detto chiaramente a Pippo che non voglio fare parte della sua cosca.

2. Dare consapevolmente a una cosca mafiosa un covo sicuro dove riunirsi significa o no “concorrere” nel reato di associazione mafiosa? Sembra, francamente, di si. Dare un covo sicuro a una cosca da, infatti, un evidente e prezioso contributo alla vita e sopravvivenza della cosca medesima.

Giuristi da accatto hanno detto: “Ma c’è già il favoreggiamento. Il concorso esterno è un di più. E per di più la condotta del concorrente esterno o è già punita come reato autonomo o non è niente”.

Chi ha fatto queste affermazioni – e le hanno fatte anche professori universitari e avvocati disperatamente protesi a conquistare la gratitudine del solito padrone – o è ignorante o è in malafede.

Il favoreggiamento, infatti, è punito dall’art. 378 c.p., che dispone che: “Chiunque, dopo che fu commesso un delitto … aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, o a sottrarsi alle ricerche di questa, è punito …”.

Quindi, il favoreggiamento punisce l’aiuto dato a qualcuno per eludere le investigazioni DOPO che è stato commesso il reato. Non l’aiuto dato prima e/o durante la commissione del reato. Quest’ultimo non è favoreggiamento, ma concorso nel reato.

Peraltro, una prova decisiva di tutto questo si trae dall’art. 270 ter del codice penale, che punisce l’assistenza prestata agli associati con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico.

Quella norma dispone testualmente che “chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, dà rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipano alle associazioni indicate negli articoli 270 e 270-bis è punito con la reclusione fino a quattro anni”.

Quindi, l’art. 270 ter c.p. cita espressamente tre tipologie diverse e autonome di reato: l’assistenza agli associati (che provvede a punire), il favoreggiamento e il concorso nel reato. Che nel caso dell’art. 270 ter è il concorso nel reato di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico.

Dunque, la configurabilità del concorso nei reati associativi appare francamente fuori discussione, con buona pace dei tanti giuristi da accatto e giornalisti servi che affliggono la vita agonizzante della nostra democrazia.

E quanto, infine, al fatto che la condotta del concorrente esterno o è punita come reato autonomo o non è niente, basta osservare che stare davanti a una banca e guardare la strada per vedere se arriva la polizia o è concorso nella rapina ex art. 110 c.p. o non è niente. Il reato di “palo” non esiste.

Prestare una macchina a un amico non è, in sé, nessun tipo di reato. Come prestare la casa a mare a un amico e ai suoi amici non è, in sé, nessun reato. Ma prestare la macchina a un amico che ti dice che deve fare una rapina e ha bisogno di un’auto con la quale scappare è, pacificamente (e anche per tutti i servi del regime), concorso nella rapina.

Così dare consapevolmente la casa a mare a una cosca mafiosa perché vi si riunisca in sicurezza è certamente concorso nell’associazione mafiosa. E non è una invenzione dei giudici.

Ed è concorso nell’associazione mafiosa anche se lo fa un amico di questo o quel politicante. E i complici dei mafiosi meritano il nostro disprezzo sia se abitano in un quartiere povero e malfamato, sia se stanno in palazzi di lusso o magari in Parlamento. Anzi, forse ne meritano di più quelli che stanno in Parlamento.

E davvero francamente non se ne può più di cambiare canale alla TV, magari per sbaglio, e sentire lo sguattero di turno che, con il tono e la faccia di uno che davvero ne capisce di diritto, dice che questo reato di concorso in associazione mafiosa è “discutibile”. Verrebbe da dirli “discutibile sarà lei e i delinquenti che protegge”. Ma, purtroppo, la televisione parla, quasi sempre blatera, ma non ascolta.

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