Cultura

Morto Sebastião Salgado, chi era il fotografo dei poveri e della crisi ambientale

Il binomio “natura-umanità” ha caratterizzato i suoi scatti per 50 anni: una sensibilità che rispettava i soggetti inquadrati e il senso della storia

di Davide Turrini
Morto Sebastião Salgado, chi era il fotografo dei poveri e della crisi ambientale

Aveva fotografato tutti gli uomini e tutta la natura del mondo rigorosamente in bianco e nero. Addio a Sebastião Ribeiro Salgado. Il fotoreporter brasiliano, autentica star internazionale della fotografia, impegnato da decenni a mostrare la condizione sociale dei poveri della Terra e a combattere per la sensibilizzazione sulla crisi ambientale dovuta all’industrializzazione del pianeta, è morto ad 81 anni a Parigi. Il binomio “natura-umanità” ha caratterizzato gli scatti fotografici di Salgado per almeno 50 anni di carriera. Una sensibilità intuitiva e magniloquente, in certi momenti e frammenti perfino cupa e incombente. E dire che sui trent’anni il ragazzo brasiliano aveva intrapreso già una carriera da economista, lavorando per la International Coffee Organization; ma è nel 1973 che avviene la folgorazione per la fotografia.

Un lampo, appunto, grazie, si racconta, alla macchina fotografica – una Leica 35mm – prestata dalla inseparabile moglie Lelia Wanick. “Non saprei dire dove finisco io e dove inizia Lélia”, aveva spiegato in una recente intervista al Guardian. I due si incontrarono a San Paolo mentre lei studiava architettura e lui economia. Entrambi membri di un gruppo rivoluzionario di sinistra sotto la dittatura militare brasiliana decisero di lasciare il Paese per l’esilio parigino. Ed è proprio a Parigi che un 29enne Salgado prende in mano la macchina fotografica di Lelia e scopre un naturale talento per le foto. Prima lavora per l’agenzia Gamma e successivamente per la storica Magnum, diventandone fotografo di punta, e dove rimarrà fino al 1994 con un seguito di polemiche e attacchi alla sua etica professionale.

“La fotografia è profondamente soggettiva. È il mio modo di vedere: le mie immagini nascono dalle mie idee politiche e ispirazioni ideologiche”, amava ripetere il fotoreporter brasiliano. Forti contrasti chiaroscurali, scatti sviluppati in grande formato – usava una Pentax 645 – Salgado non ha mai inseguito veri e propri fatti di cronaca, ma ha osservato con i suoi tempi e le sue personali urgenze la dignità di una immensa umanità povera in numerosi Paesi dei più diversi continenti, partendo da quell’Africa che gli rimase per sempre nel cuore sopra ogni altro luogo. “Non mi muove un problema di cattiva coscienza o un senso di colpa”, spiegava in un’intervista a Repubblica. “Anche quando sono stato nei campi profughi non ho fotografato gente povera o disperata, ma persone. Io non ho mostrato i miserabili, ma gente che viveva in equilibrio e poi ha perso la casa, la terra e cercava un altro luogo dove vivere”.

Rispetto per i soggetti inquadrati e senso della storia, insomma. Responsabilità etica più che ricerca del bello. Sono numerosi i suoi servizi che poi diventeranno storia della fotografia umanitaria. Tra questi Sahel: l’homme en detresse (1986), un reportage sugli effetti devastanti della siccità in Africa; Other Americas (1986), An uncertain grace (1990); Workers, un’archeologia sul lavoro manuale (1993) che oggi in tempi di intelligenza artificiale dovrebbe tornare di stringente attualità. Del 1997 è Terra, un intenso e toccante omaggio alla popolazione rurale brasiliana senza terra.

Nel 1994 lasciò la Magnum per dedicarsi ad una propria agenzia, la Amazonas Images. Addosso gli piovvero numerose critiche, soprattutto la più affilata: quella di essere un “esteta della miseria”. Critiche che rintuzzò e rispedì al mittente ma che comunque lo toccarono. Tanto che sul finire degli Anni novanta, cominciò a dedicarsi alla devastazione dell’ambiente da parte dell’industrializzazione. Nel 1998 fonda assieme alla moglie l’Instituto Terra, un’organizzazione ambientalista che prende spunto da come Minas Gerais, paese natale di Salgado, fosse stato devastato dall’attività umana.

Marito e moglie si mettono così in testa di ricreare la foresta che un tempo esisteva, ripristinando il paesaggio degradato: raccolgono semi, piantano milioni di alberi, attirano decine di tecnici agrari di alto livello. Il contatto con la natura stimola il Salgado nuovamente fotografo ed ecco nel 2013 Genesis, e nel 2021 Amazonia. “Sono pessimista sull’umanità – aveva raccontato di recente – ma ottimista sul futuro del pianeta. Il pianeta si riprenderà. Sta diventando sempre più facile per il pianeta eliminarci”. Nel 2014 Wim Wenders con il figlio di Salgado, Juliano gira un documentario sulla vita del fotografo. Fino a fine settembre 2025 al Mart di Rovereto è in corso una mostra di alcuni scatti di Salgado intitolata Ghiacciai.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Precedente
Precedente
Playlist

Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione