Gaza, il nostro governo lascia sbigottiti: per fortuna c’è un’Italia che vuole stare dalla parte giusta della Storia

“Dobbiamo dire al Governo israeliano: basta. La reazione c’è stata, Hamas deve liberare gli ostaggi. Garantite la vostra indipendenza e la vostra sicurezza, ma arriviamo alla pace“. 17 maggio.
“Ho chiesto nuovamente a Israele di fermare le operazioni militari che coinvolgono i civili e di aprire subito tutti i valichi per fare entrare aiuti umanitari. Vogliamo il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi: la guerra a Gaza deve terminare”. 21 maggio.
Le ultime dichiarazioni del Ministro degli esteri Antonio Tajani facevano presagire un progressivo cambio di linea politica del Governo, ma alla prova dei fatti nessun passo concreto è stato compiuto per porre fine all’orrore che si sta consumando a Gaza. Basti pensare al voto italiano contro la revisione dell’Accordo di Associazione Ue-Israele per la violazione dell’Art.2 in occasione del Consiglio europeo dei Ministri degli Esteri, all’approvazione del programma militare con Israele in Commissione Difesa e ieri al via libera alla Camera alla timida mozione di maggioranza su Gaza, che ha bocciato quella dell’opposizione in cui si chiedeva tra i vari punti: una ferma condanna dei crimini commessi da Israele, il riconoscimento dello Stato Palestinese, lo sblocco all’ingresso degli aiuti, lo stop immediato di qualunque fornitura di armamenti e l’adozione di misure restrittive contro la leadership politica e militare israeliana.
L’Italia, per mano dell’Esecutivo, ha ceduto così per l’ennesima volta a logiche politiche di alleanza internazionale, piuttosto che far fronte ai propri obblighi legali di far rispettare il diritto umanitario. Una posizione che lascia sbigottiti perché assunta mentre si colpiscono i civili nella più grave crisi umanitaria di questo secolo. Soprattutto non si comprende che è proprio l’impunità di Israele tra le principali cause della profonda crisi che si sta vivendo in Medio Oriente.
A Rafah per chiedere all’Italia di non essere più complice
Per chiedere un cambio di linea al nostro Paese e all’Europa abbiamo organizzato per il secondo anno una Carovana solidale promossa con Aoi (Associazione delle Ong italiane di cui Oxfam è membro), Arci e Assopace Palestina, assieme ai parlamentari di Pd, M5S e Avs, raccontata da ilfattoquotidiano.it.
Un viaggio che nei giorni scorsi ci ha portato fino al valico di Rafah, che questa volta a differenza di 12 mesi fa era chiuso a causa del blocco, imposto dall’assedio totale di Israele, che impedisce l’ingresso di beni salvavita. Ad investirci c’era poi il continuo, quasi ritmico, suono delle bombe che cadevano dal cielo a breve distanza da noi, al di là di quel cancello sbarrato oltre il quale sono intrappolati oltre 2 milioni di civili allo stremo. In testa solo una consapevolezza, a ogni tonfo sordo poteva corrispondere una o più vite spazzate via in un istante. Con la guerra che non trova sosta oltre il valico, abbiamo alzato uno striscione con su scritto Stop complicity: davanti a noi vestiti, giocattoli e foto di giovani vite spezzate; sullo sfondo i volti dei leader europei (tra cui la premier Giorgia Meloni, la presidente Ue Ursula Von der Leyen, l’alta rappresentante Kaja Kallas) assieme ad una serie di cartelli per ricordare tutti i tipi crimini commessi da Israele.
Pochi aiuti distribuiti da contractors privati e lo sfollamento sempre più a sud della popolazione: la strategia di Israele è svuotare Gaza
Nel corso del viaggio, in Egitto, abbiamo inoltre avuto la possibilità di confrontarci con numerosi colleghi e colleghe di organizzazioni umanitarie, di associazioni palestinesi per i diritti umani e delle agenzie delle Nazioni Unite impegnate a Gaza. Testimonianze da cui è risultato evidente quanto l’operazione di invasione denominata “Carri di Gedeone” sia solo un aspetto di una strategia che prevede anche una ripresa dell’ingresso degli aiuti fuori dai principi di indipendenza, imparzialità e neutralità che la comunità internazionale si è data per rispondere alla crisi umanitarie dal secondo dopoguerra in poi, garantendo l’aiuto in base al solo criterio dei bisogni delle popolazioni colpite. Una strategia che peraltro non tiene minimamente conto delle richieste contenute nelle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza 2712, 2720, e il meccanismo di aiuto messo in piedi dalle Nazioni Unite (il 2720 UN Aid Mechanism).
Il piano di Israele, si prevede dal 24 maggio, è infatti disegnato per tagliare fuori l’Onu e le organizzazioni umanitarie internazionali, affidando la distribuzione di pochi aiuti alimentari ad un consorzio di contractors operanti nella sicurezza.
A questo dovrebbe essere accompagnato il progressivo sfollamento della popolazione nella parte sud della Striscia, tra Khan Younis e Rafah, dov’è prevista la costruzione di appena 5-8 punti di distribuzione del cibo. Una cosa atroce quanto inadeguata, se si pensa che fino a poco fa quelli attivati dal World Food Program erano oltre 400. Punti di distribuzione che saranno allestiti in aree recintate e presidiate all’esterno dall’Idf e internamente dai contractors. Per accedere la popolazione si dovrà sottoporre a controlli biometrici. Insomma questa proposta, se attuata, porterà a trasformare la popolazione civile in prigionieri e di fatto consoliderà l’occupazione militare.
L’aiuto umanitario usato come arma di guerra
In questo contesto è quindi altissimo il rischio che l’accesso agli aiuti da cui dipende la sopravvivenza della popolazione palestinese possa essere trasformato in uno strumento di pressione militare, negoziale e politica (la cosiddetta militarizzazione dell’aiuto), come ci hanno confermato i responsabili dell’Ocha (l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari) che abbiamo incontrato.
Inoltre affidarne la gestione a privati, che potrebbero trarvi profitto, legittimerebbe un precedente che farebbe crollare completamente il paradigma dell’aiuto umanitario, così come è stato concepito fino ad oggi.
C’è chi dice no…
Tornato a casa in Italia, c’è un appello che più di ogni altri continua a tornami in testa, quello che ci ha rivolto un’attivista palestinese incontrata al Cairo: “Quando tornate, scendete in piazza, mostrate il vostro dissenso alle politiche dei vostri governi, rendetelo visibile!”. Ebbene di certo continueremo a farlo, se possibile con ancora più forza, consapevoli che c’è un’Italia che non si arrende alla complicità del nostro Governo e che lotterà per riportare il nostro Paese dalla parte giusta della storia.