Dalla fiaba barocca di de Righi/Zoppis con John C. Reilly alla ballata veneta di Sossai tra alcol, amicizia e architettura: due film che rileggono l’identità italiana tra sogni di frontiera e territori in trasformazione.
Assai distante dal loro primo, visionario e sorprendente lungo di finzione, Re Granchio, che pure approdò a Cannes nel 2021 ma alla Quinzaine des Cinéastes, il romantico e fiabesco western (all’italiana ma non solo) di de Righi/Zoppis coincide con la ballata che Buffalo Bill (un vibrante e canterino John C. Reilly) racconta quando approda col suo Wild West Show nelle campagne romane agli inizi del ‘900 per far sognare agli italiani il mito della frontiera americana. Qui il patron di zona è sposato con la bella e giovane francese Rosa (Nadia Tereszkiewicz) che tuttavia si innamora a prima vista del buttero romano Santino (Alessandro Borghi) non appena questo vince la leggendaria gara di doma di cavalli.
Omicidi, fughe, cacce all’uomo, lunghe cantate sotto la luna, bevute, strategie e tanti sogni fanno da contenuto a un film idealmente molto originale e interessante ma che sul grande schermo, purtroppo, appare sovraccarico, un po’ barocco, incerto in scrittura e regia. A sua difesa è certamente la ricchezza della messa in scena e l’encomiabile tentativo di fornire freschezza e nuove idee al western sia americano che italiano.
Benché anch’esso accompagnato dall’American Dream con tanto di bar-saloon sulla statale sbandieranti stelle&strisce è invece italianissimo, anzi profondamente “made in Veneto”, il secondo film di finzione di Sossai, giovane regista nativo sulle Dolomiti bellunesi e formatosi in Germania. Col suo buddy movie on the road, Le città di pianura Sossai unisce una bizzarra triade di A – alcol, amicizia, architettura – attraverso la vicenda di Carlobianchi (Sergio Romano) e Doriano (Pierpaolo Capovilla), due spiantati cinquantenni, ossessionati dal cosiddetto “ultimo bicchiere”.
Girovagando una notte sulla loro Jaguar (comprata con i proventi della vendita di occhiali rubati) lungo l’immensa pianura del veneto orientale s’imbattono in varie situazioni tra cui una festina di laurea in cui mettono a fuoco Giulio (Filippo Scotti), un timido studente di architettura. Inizialmente restio a seguire questi simpatici scrocconi perennemente ubriachi, il ragazzo si arrende e si unisce alle loro scorribande senza senso, il tutto nell’attesa che faccia ritorno dall’Argentina il mitico e vecchio sodale Genio (Andrea Pennacchi). Ben orchestrato tra una solida scrittura, una buona regia e una valida direzione dei bravi interpreti, Le città di pianura supera le aspettative guidando lo spettatore in un viaggio surreale, sornione e appassionato non solo attraverso l’amicizia e l’evoluzione dei tre personaggi, ma anche dentro alle rapide mutazioni del territorio veneto, le cui memorie e tradizioni stanno scomparendo come la leggendaria città sepolta di Cornia dove “i nostri” dicono di abitare.