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“Il ‘Palestina Libera’ al Primo Maggio? Stupiti perché siamo stati gli unici a dirlo e per la reazione della comunità ebraica. Sbagliato attaccare la cantante israeliana a Eurovision”: così i Patagarri

La band, finalista a X Factor 2024, presenta a FqMagazine il nuovo album “L’ultima ruota del caravan”. Il progetto nasce sotto un vero tendone da circo, nella Birreria Le Baladin

di Andrea Conti
“Il ‘Palestina Libera’ al Primo Maggio? Stupiti perché siamo stati gli unici a dirlo e per la reazione della comunità ebraica. Sbagliato attaccare la cantante israeliana a Eurovision”: così i Patagarri

C’è il jazz, il pop, il soul e anche qualche altra sorpresa. Non stupisce la ricchezza dell’album “L’ultima ruota del caravan” firmato dai Patagarri, i finalisti dell’ultima edizione di X Factor e soprattutto i protagonisti – nell’occhio del ciclone – del Concertone del Primo Maggio per il messaggio diretto a Gaza. Il progetto nasce sotto un vero tendone da circo, nella Birreria Le Baladin a Piozzo (Cuneo), dove la musica è stata registrata in presa diretta.

Daniele Stefano Corradi (chitarra), Arturo Monico (trombone e percussioni), Jacopo Protti (chitarra), Giovanni Paolo Monaco (clarinetto e sassofono), Francesco Parazzoli (tromba e voce) e Nicholas Guandalini (basso e contrabbasso) si raccontano a FqMagazine. Prosegue L’ultima Ruota Del Caravan Tour Estate 2025 che si sviluppea da maggio a settembre.

Nel brano Il Camionista cantate: “Non sente sindacati. Non sente neanche sua madre il male che c’ha dentro (…) Agiti il rosso in faccia al toro. Non lo nobilita il tuo cazzo di lavoro”. Qual è il vostro messaggio?
Noi abbiamo descritto una situazione, la cosa che ci preme di più non è passare il messaggio in maniera esplicita, potente sì, ma non in maniera troppo esplicita. Ovviamente, il messaggio dietro è che ci sono dei lavori che oggettivamente ti limitano e ti alienano. Non ne viene riconosciuto il merito, non c’è nessun tipo di interesse da parte dell’opinione pubblica per migliorare questa situazione. Ci pareva importante fare un brano a riguardo.

“Scimmie stanno appese ai soldi / Sbucciano caschi di banconote”. È un’accusa a un certo capitalismo ancora ancorato alla società?
È piuttosto un dire che non è cambiato niente: che siano le banane o la frutta buona che avevamo prima, c’è sempre quell’attitudine di attaccarsi a quelle cose, volerle per sé e cercare di accumulare il più possibile. Era un sottolineare il fatto che non ce la siamo ancora tolta. Dalle scimmie ai giorni nostri, più di quello di cui abbiamo bisogno.

Chissà che cosa sogna Roberto Saviano. Filippo Turetta o Messina Denaro. Cosa sogna il terrorista prima dell’attentato”. Che cosa sognano secondo voi?
È il dire che tutti sognano, dai più cattivi ai più buoni. A prescindere, il sogno è una cosa che accomuna tutti. E poi non so effettivamente che cosa sognano… Ma ce lo stavamo domandando. La cosa bella di questo testo è anche che il sogno è una cosa che rende tutti più umani. Come tutti sono stati bambini, tutti sognano. Anche le persone considerate più spregevoli, che ne hanno combinate di tutti i colori, hanno questi sogni. Riporta un po’ tutti in una dimensione umana.

“Dopo la firma non si torna indietro” è il monito in “mutuo”. È un invito alla libertà?
Cioè, in parte sì, sicuramente, ma è anche proprio una manifestazione della paura di dover affrontare alcune prove che ti richiede la società. Pensavamo anche di visualizzarcelo: ci veniva questa idea di un rito, per diventare adulti che ormai è quella cosa lì: per diventare grande devi fare certe cose. E per come sta andando il mondo, è sempre più difficile. Anche nel lavoro, nel mondo dei giovani, è molto difficile, proprio perché non puoi dare nemmeno tu stesso le garanzie di avere un lavoro stabile per tanto tempo, di poterti pagare. È una prova che ci spaventa, ma che tutti devono affrontare. Per adesso. Finché le case non saranno libere o occupate, insomma.

Quale vicenda vi ha ispirato il brano Willy?
Non è una vicenda specifica. Quasi nessuna delle storie, tranne forse quelle riferite a noi o a passaggi personali, si riferisce a episodi particolari. È quello che vedi e lo riporti. Mi ricordo che sulla Gazzetta di Mantova, che è la città da cui vengo io (parla Frankie, il cantante; ndr), era uscito un articolo di un ragazzo che era sotto fermo: avevano trovato un grammo e mezzo, diceva l’articolo. E gli hanno fatto l’articolo sulla Gazzetta. Cioè, dici: “Un grammo e mezzo di fumo!”. Quindi, sì, vedi queste cose e ti vengono ispirazioni. Sono episodi generali, ma fanno riflettere sia chi lo fa (“prima o poi verrai beccato”), sia chi magari si ritrova nella situazione di scoprire un figlio che l’ha fatto. In Willy, il ragazzino viene lasciato a se stesso perché i suoi sono sempre al lavoro: la madre al supermercato, il padre impiegato comunale. Potenzialmente non avrebbe neanche bisogno di compiere quell’atto, però lo fa comunque. E va bene, perché è bravo a farlo. Non offriamo morali o consigli, ma raccontiamo situazioni che accadono, e sono purtroppo reali.

Cosa vi ha lasciato l’esperienza a X Factor?
È stata un’esperienza formativa e impegnativa allo stesso tempo. Formativa perché ti butta in un mondo di professionismo, di grandi palchi, e ti fa vedere tutta la macchina che c’è dietro: attrezzature, professionisti, tutto. Noi venivamo dalla strada, eravamo autonomi in tutto, e abbiamo capito anche cosa significa essere seguiti e avere accesso a certi strumenti.

Lo rifareste?
Musicalmente ti dà tanti stimoli, perché ogni settimana devi fare un arrangiamento diverso. Suonavamo tantissimo tra di noi, tutto il giorno. Ti confronti con mondi musicali molto diversi. Però è anche un ambiente impegnativo, tempi serrati, grande stress, pubblicità… Se resisti, ti insegna. Abbiamo anche perso la voce per tre settimane! Però la gente che conosci lì dentro, anche gli altri concorrenti… Siamo stati fortunati. Sì, lo rifaremmo. Però bisogna arrivarci già strutturati, sapendo chi sei e che musica vuoi proporre.

Vi aspettavate così tanto clamore dopo il messaggio “Palestina Libera” sul palco del Primo Maggio?
No, assolutamente no. Pensavamo che qualcun altro avrebbe detto qualcosa in merito a quello che sta succedendo in Medio Oriente. Invece eravamo gli unici. Mi sono anche informato e negli ultimi anni nessuno ha cercato particolarmente di mandare messaggi sociali. Per questo motivo la nostra esibizione è andata molto, molto virale ed è stata ricordata da tanti giornali. Non ci aspettavamo che si scomodasse persino la comunità ebraica. È stata una cosa che sinceramente nessuno si aspettava. Più che aspettarci il clamore ci aspettavamo che qualcuno dicesse qualcosa in merito a quello che sta accadendo in Medio Oriente.

Cosa ne pensate del fatto che Israele è rimasta in gara a Eurovision mentre la Russia è stata subito bannata all’inizio del conflitto con l’Ucraina?
Secondo me (parla Giovanni a nome di tutta la band; ndr), in questi casi è inutile prendersela con i singoli artisti, sia che siano russi, ucraini, israeliani o di qualsiasi altro paese. È più importante – anzi, doveroso – condannare i governi che attuano massacri. E invece, quelli che dovrebbero farlo, tipo molti governi, fanno finta che non stia succedendo nulla. Si discute sul togliere artisti da eventi e talent, ma ci sono tanti altri strumenti: i dazi, le sanzioni, le pressioni politiche. Il messaggio può arrivare anche potente, ma che tipo di messaggio è rispetto a uno diretto verso chi è davvero coinvolto? Un artista, un atleta, tendenzialmente, non è coinvolto.

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