Cinema

Cannes, ritorna il cinema raffinato, millimetrico ed essenziale di Panahi con A Simple Accident

Dopo anni di censura e arresti, il cineasta iraniano commuove la Croisette con un film potente e politico che riflette sul perdono e sulla responsabilità individuale. Dieci minuti di standing ovation per un’opera che sfida il regime con eleganza e coraggio

di Anna Maria Pasetti
Cannes, ritorna il cinema raffinato, millimetrico ed essenziale di Panahi con A Simple Accident

Dopo anni di interdizioni, vessazioni, minacce, scioperi della fame e film girati in casa, finalmente Jafar Panahi è tornato a presenziare ai suoi film. Indescrivibile la commozione sua e del pubblico – che gli ha tributato 10 minuti di standing ovation – quando è apparso alla Grand Théâtre Lumière al 78° Festival di Cannes per accompagnare il suo nuovo film, A Simple Accident, forte concorrente alla Palma d’oro. “Sono felice di essere qui, dedico il vostro applauso a chi non è qui con me, perché ci sono ancora registe, registi, attrici e attori ancora prigionieri del sistema repressivo iraniano. Prima vedevo solo le mura di casa, oggi questo muro è diventato di persone, e vi sono grato”, ha dichiarato in lacrime il grande regista iraniano.

Girato (ovviamente) clandestinamente, si tratta di uno dei suoi lavori più politici, dal ritmo incalzante, dallo sguardo diretto, e dove l’ex “prigioniero” Panahi trova un doppio alter-ego attraverso cui rispecchiare se stesso e tutto il popolo iraniano da anni lacerato dai soprusi di potere perpetrati dal regime islamico. In A Simple Accident il cineasta iraniano non appare davanti alla macchina da presa come aveva fatto nei suoi ultimi cinque film, ma vi resta dietro, in rigorosa osservazione, tornando a orchestrare il suo cinema raffinato, millimetrico ed essenziale.

Al centro di questa commedia nera che a tratti incontra il thriller così come il tragicomico, è un meccanico che causalmente rincontra colui che potrebbe essere stato uno dei suoi aguzzini durante un periodo di prigionia. Scrutandone i movimenti, si apposta davanti alla sua casa nottetempo con l’intenzione di sequestrarlo. A missione compiuta, il presunto colpevole viene legato, bendato e destinato a vendetta istantanea alla quale, però, il meccanico ripensa. A quel punto l’uomo si reca da conoscenti che, come lui, potrebbero essere state sue vittime, andando così a formare uno sparuto gruppo di persone tutte a bordo del suo furgone bianco dove, ovviamente, giace anche il sequestrato opportunamente drogato con farmaci.

Se il racconto può in effetti condurre ai codici della commedia nera, come si diceva poc’anzi, il profondo significato metaforico infuso nella sofisticata drammaturgia ne evidenzia la potente riflessione politica, ovvero una denuncia del male perpetrato non tanto dal regime in sé – concetto quanto mai astratto – bensì dagli individui che liberamente accettano di farne parte, di portarne in essere le nefandezze e i soprusi. La condanna è alle scelte umane, la soluzione proposta è di fermare tale circolo vizioso – il “male per il male” – a favore del perdono, laddove possibile.

Un’opera esemplare che, come in tutta la ricca filmografia del 64enne artista, guarda al cinema come dispositivo di rivelazione (della verità), di sorveglianza, di liberazione e che, a dispetto delle tante anche presenti sulla Croisette dedite ai budget monstre, è creata con il minimo indispensabile: pochi (e bravissimi) attori, un furgone e un’auto, qualche interno, alcuni esterni a Teheran, il deserto. Aperto come spesso accade nei lavori di Panahi, ma anche in quasi tutto il cinema iraniano, da una scena girata in un’automobile, il film si chiude con una magnifica sequenza che celebra l’ambiguità, perché il grande cinema dovrebbe proporre domande e non fornire risposte. A Simple Accident, fortissimo concorrente alla Palma d’oro che meriterebbe per ragioni cinematografiche ed umane, uscirà nelle sale italiane grazie a Lucky Red.

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