Ecco il programma di Papa Leone XIV: pace, unità e una stoccata agli ultra-conservatori

“Il re è morto. Viva il re!”. L’antico motto della monarchia in Francia esprime la svolta netta che caratterizza l’arrivo di un nuovo sovrano. Non ha più senso voltarsi verso il passato, conta soltanto il nuovo cammino che inizia.
In pochi giorni, dall’elezione in conclave al solenne rito di domenica 18 maggio, è emersa con chiarezza la prospettiva in cui si colloca il pontefice delle due Americhe. La sconfitta degli ultra-conservatori al conclave, dove sono stati incapaci di presentare un candidato in grado di offrire una visione del futuro, ha lasciato il campo ad una personalità orientata a proseguire il rinnovamento della Chiesa. Questo è avvenuto grazie all’alleanza tra i curiali moderati e il gruppo dei cardinali attenti alla tradizione ma aperti alla necessità di proseguire gradualmente le riforme ecclesiali, a cui si è aggiunto il vasto arco di porporati del Sud globale (scelti in massima parte da Bergoglio) intenzionati a mantenere lo slancio riformatore sociale e l’impegno intransigente per la pace, che ha caratterizzato il regno di Francesco.
Leone XIV si presenta come un architetto teso a rendere armonici e omogenei gli scatti riformatori del pontificato bergogliano (spesso manifestatisi per strappi e decisioni solitarie) con il proprio stile, la propria cultura teologica, il proprio temperamento di “superiore generale”, che sa ascoltare e procedere con razionalità e profondo attaccamento a quanto nel linguaggio cattolico si chiama il “deposito della fede”.
Nella predica breve ma intensa della messa inaugurale – un tempo si chiamava di intronizzazione – il papa ha dato una risposta ad una sollecitazione praticamente unanime dei dibattiti pre-conclave. Non sarà un “condottiero solitario o un capo posto al di sopra degli altri”, che si fa padrone della comunità a lui affidata, ha garantito chiosando il ruolo di Pietro evidenziato dagli Atti degli apostoli. In altre parole organizzerà una curia con cui lavorare in spirito di squadra, disposto contemporaneamente a una consultazione costante con l’insieme dei cardinali rappresentativi del variegato mondo cattolico.
Consapevole delle critiche rivolte al predecessore per ripetuti zig-zag dottrinali, Robert Francis Prevost sottolinea la volontà di “custodire il ricco patrimonio della fede cristiana” ma senza spirito burocratico o indietrista. Bensì nella convinzione della necessità di “gettare lo sguardo lontano per andare incontro alle domande, alle inquietudini e alle sfide di oggi”.
La Chiesa di Roma, ha scandito ripetendo alla lettera il tema centrale del primo discorso di Francesco dalla Loggia vaticana, presiede nella carità: “Non si tratta mai di catturare gli altri con la sopraffazione, con la propaganda religiosa o con mezzi di potere”. Si tratta sempre e solo, ha sottolineato quasi puntigliosamente, di amare come ha fatto Gesù. Una stoccata precisa al fondamentalismo intollerante che caratterizza l’ideologia cristianista tipica dei seguaci di Trump e degli altri leader sovranisti che riducono la croce ad un simbolo identitario.
A differenza dei sovranisti identitari papa Leone respinge un clima in cui prosperano “troppa discordia, troppe ferite causate dall’odio, dalla violenza, dai pregiudizi, dalla paura del diverso, da un paradigma economico che sfrutta le risorse della Terra ed emargina i più poveri”.
Nei suoi interventi Prevost formula con cura ogni parola, ogni concetto. E’ delicato e al tempo stesso determinato e preciso. Forse per la sua triplice specializzazione universitaria: matematico, filosofo, esperto di diritto canonico. D’altronde, la chiarezza è quello che gli hanno chiesto i suoi elettori per portare a termine i tanti cantieri aperti da Francesco.
Qual è la Chiesa che vuole Leone XIV? Era questa la domanda che si ponevano tutti, credenti e non credenti, uomini di stato ed esponenti delle altre religioni alla vigilia della cerimonia di inizio del pontificato. La risposta chiara è stata: una Chiesa nel segno dell’amore e dell’unità. Con una ritrovata unità al suo interno, nel contemporaneo rispetto per le diversità. In poche parole, una “Chiesa missionaria che apre le braccia al mondo, che annuncia la Parola, che si lascia inquietare dalla storia e diventa lievito di concordia per l’umanità”.
Parole che non occorre chiosare. E’ chiaro il suo afflato per contrastare le disparità sociali, la particolare attenzione al mondo dei migranti, l’intenzione di misurarsi con la nuova rivoluzione tecnologica e l’avvento dell’intelligenza artificiale. Così come è nettissimo il suo impegno per la pace, che significa incontrarsi, ascoltare, non credere di possedere tutta la verità, lavorare per ripristinare nel mondo il multilateralismo (altra stoccata a Trump, Putin, Netanyahu e ogni autocrate tentato dalla volontà di risolvere i problemi soltanto tra pochi potenti “capibastone”). La Santa Sede, ha sottolineato, “è a disposizione” perché i nemici si guardino negli occhi e sappiano negoziare. Il presidente ucraino Zelensky, che Leone ha incontrato privatamente dopo la messa, lo ha ringraziato per questo.
In ultima analisi nessun motto programmatico è migliore delle parole pronunciate la sera dell’elezione. Battersi per una “pace disarmata e disarmante”. Il programma enunciato da papa Prevost è ora sul tavolo. I prossimi mesi e anni mostreranno come verrà realizzato e come verrà declinata quella sinodalità – prospettiva di una Chiesa partecipativa – cui ha anche accennato in questi giorni. Resta un solo punto interrogativo e riguarda il posto della donna nella Chiesa. Non è una sfida da poco.