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Arrivati in Albania i 40 migranti. Cecilia Strada: “Sbarcati in manette”

Il governo ci prova per la quarta volta: a bordo ci sarebbero cittadini di diverse nazionalità giunti nel Cpr di Restinco nei giorni scorsi. Pd e ong: "Poche informazioni, grande opacità"
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La nave Libra con a bordo i 40 migranti trasferiti dall’Italia è appena arrivata a Shengjin, in Albania. Le persone a bordo saranno ora fatte sbarcare e accompagnate dalle forze dell’ordine al centro di Gjader, a pochi chilometri di distanza, dove c’è il centro di permanenza per il rimpatrio (cpr) nel quale saranno alloggiati. La nave della Marina militare era partita in mattinata da Brindisi. Gli stranieri sarebbero cittadini di diverse nazionalità che nei giorni scorsi sono giunti nel cpr di Restinco, nel brindisino. La decisione di trasferirli nella struttura è giunta dopo l’approvazione del decreto del 28 marzo che consente il trasferimento non più solo dei richiedenti asilo intercettati in mare, ma anche degli irregolari cui il questore ha consegnato il decreto di espulsione ed un giudice ha convalidato la permanenza in un Cpr.

“Scendevano dalla nave ammanettati: chiederemo conto delle modalità del trasferimento”, ha dichiarato subito dopo lo sbarco l’europarlamentare del Pd, Cecilia Strada, che insieme alla delegazione parlamentare attende di entrare nell’hotspot appena finite le operazioni di polizia. “Ci hanno spiegato che le fascette ai polsi sono state impiegate per motivi di sicurezza – ha aggiunto successivamente Strada -, per l’incolumità delle persone e per evitare autolesionismo e disordini a bordo”. Parole che farebbero ipotizzare l’ammanettamento anche durante le circa sette ore di viaggio da Brindisi, con circa 80 agenti delle forze dell’ordine a bordo. I trasferiti vengono da moltissimi Cpr, quasi tutti quelli italiani. Per la quarta volta, il governo prova a trasferire i migranti sull’altra sponda dell’Adriatico. “Riscontriamo una grande opacità“, sono state le parole di Francesco Ferri, attivista di ActionAid e membro del Tavolo Asilo e Immigrazione che ieri ha visitato il centro. “Abbiamo l’impressione che con il cambio di destinatari di questa struttura – ha sottolineato -, il livello di opacità sia ulteriormente aumentato, segno di difficoltà da parte del governo”. Dello stesso parere anche la deputata del Pd, Rachele Scarpa, che ha guidato la delegazione nella visita alla struttura. “L’indeterminatezza delle informazioni che abbiamo a disposizione è completa – ha detto -. Non sappiamo da quale Cpr provengono queste persone o di che nazionalità sono. L’unica cosa che siamo riusciti ad acquisire è che si tratta di 40 persone, come annunciato dallo stesso Piantedosi. C’è un clima di mancata trasparenza che dovrebbe far riflettere”.

Dall’altro lato dell’Adriatico arriva anche l’eco delle conclusioni dell’avvocato generale alla Corte di giustizia europea sul protocollo Italia-Albania pubblicate proprio alla vigilia dell’ennesimo trasferimento. “Uno Stato membro – scrive l’avvocato generale della Corte, Richard de la Tour – può designare Paesi d’origine sicuri mediante atto legislativo“, come ha fatto l’Italia. Nelle sue conclusoni, l’avvocato sostiene che il diritto Ue non osta a una designazione ad eccezione di determinate categorie a rischio, questione che ha di fatto bloccato i precedenti trattenimenti in Albania. A patto che il Paese designato abbia un sistema democratico stabile in grado di garantire generalmente che non vi siano persecuzioni o violenze gravi. Tutte cose che i giudici dovranno sempre valutare nel controllo giurisdizionale di legittimità della designazione, che le conclusioni ribadiscono essere sempre necessario, anche a prescindere dalla situazione del singolo richiedente asilo. Proprio ai fini del controllo giurisdizionale, lo Stato membro deve infatti “divulgare le fonti d’informazione su cui si fonda la designazione”. Un parere, quello dell’avvocato, che non è comunque vincolante mentre Bruxelles attende la sentenza della Corte, prevista tra fine maggio e inizio giugno.

In attesa che si dirimano controversie e polemiche, il cpr di Gjader si prepara ad ospitare i primi migranti in un’area che può contenere al momento 48 persone, ma “che diventeranno 144”, come ha ribadito ieri il direttore centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle frontiere, Claudio Galzerano, in audizione in Commissione Affari costituzionali. “Se i Cpr funzionano – le sue parole -, poter contare su dei posti suppletivi per effettuare l’attività di riconoscimento consolare in preparazione dell’attività di rimpatrio diventa fondamentale. Il vantaggio è avere un 15% di posti in più rispetto alla platea di cui disponiamo e quindi facilitare il numero dei rimpatri“. In Italia sono 10 i Centri operativi, con una disponibilità di posti teorica di 1.400 “ma quella effettiva è di poco più di 700 perché sono soggetti continuamente a devastazione”, ha spiegato, ricordando che “un trattenuto su due nei Cpr viene rimpatriato”.

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