Il governo condannato a risarcire i migranti bloccati da Salvini sulla nave Diciotti: “Illegittima restrizione della libertà personale”

Le Sezioni unite civili della Corte di Cassazione hanno condannato il governo italiano a risarcire uno dei migranti a cui per dieci giorni, dal 16 al 25 agosto del 2018, l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini impedì di sbarcare dalla nave Diciotti della Guardia Costiera, bloccata nel porto di Catania dopo averli soccorsi in mare. Annullando la sentenza della Corte d’Appello di Roma, che aveva negato il risarcimento, il collegio ha rinviato il procedimento a una diversa sezione della stessa Corte, che dovrà quantificare il danno. Dai profughi a bordo della nave erano state proposte contro l’Italia in totale 41 cause, in cui si chiedevano alla Presidenza del Consiglio e al ministero dell’Interno danni che vanno dai 42mila ai 71mila euro: questa è stata l’unica ad arrivare fino in Cassazione. In relazione alla vicenda Diciotti, Salvini era stato indagato per sequestro di persona dal Tribunale dei ministri di Palermo, che aveva chiesto al Senato l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti, respinta coi voti dell’allora maggioranza M5s-Lega.
La decisione ha innescato gli anatemi del centrodestra: il leader della Lega, con poca fantasia, ha invitato i giudici ad “accogliere i clandestini a casa loro”, mentre la premier Giorgia Meloni si è spinta a commentare la sentenza sul piano tecnico, accusando i giudici di aver affermato “un principio risarcitorio assai opinabile, quello della presunzione del danno, in contrasto con la giurisprudenza consolidata”. In realtà l’ordinanza delle Sezioni unite – il massimo collegio della Suprema Corte, che decide sulle questioni in diritto più rilevanti – ha riconosciuto ai migranti il diritto al risarcimento del danno causato dalla “illegittima restrizione” della loro libertà personale, “non giustificata” da un provvedimento valido, “in violazione dell’articolo 13 della Costituzione”. Ai fini risarcitori, come riconosce la stessa ordinanza, non è però rilevante “la lesione in sè del diritto“, ma la prova delle “conseguenze pregiudizievoli“, cioè dei danni, che ne derivano sul piano concreto: una prova che la Corte d’Appello non aveva considerato raggiunta sulla base degli elementi forniti dal migrante.
La Cassazione, invece – nel passaggio contestato dalla presidente del Consiglio – afferma che quella prova “può ben essere offerta anche a mezzo di presunzioni gravi, precise e concordanti, tanto più per una vicenda dai contorni fattuali chiari come quelli di cui si tratta”. I supremi giudici valorizzano la “massima di esperienza” del fatto che una restrizione della libertà personale di dieci giorni sia normalmente in grado di causare un danno psicologico e relazionale a chi la subisce: una semplificazione per non costringere il danneggiato a “articolare estenuanti capitoli di prova relativi al significativo mutamento di stati d’animo interiori da cui possa inferirsi la dimostrazione del pregiudizio patito”. “Le sentenze, sopratutto se espresse a Sezioni unite della Cassazione, vanno lette e studiate ed eventualmente criticate nel merito, e non perchè non piacciono”, commenta Giovanni Zaccaro, giudice della Corte d’Appello di Roma e segretario di Area, la maggiore corrente progressista della magistratura. Con l’ordinanza di mercoledì, afferma, ” è stata ribadita la primazia dei diritti fondamentali delle persone sulle volontà delle maggioranze di turno, anche se schiaccianti”.
Prima di entrare nel merito della richiesta di risarcimento danni, le Sezioni unite – respingendo una delle tesi del governo – negano inoltre che il blocco deciso da Salvini possa considerarsi un atto politico non sindacabile dai giudici, come invece aveva ritenuto il Tribunale di Roma in primo grado. “L’azione del governo, ancorché motivata da ragioni politiche, non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati. Alla luce di queste premesse”, si legge nell’ordinanza, “va certamente escluso che il rifiuto dell’autorizzazione allo sbarco dei migranti soccorsi in mare protratto per dieci giorni possa considerarsi quale atto politico sottratto al controllo giurisdizionale”: “Le motivazioni politiche alla base della condotta non ne snaturano la qualificazione, non rendono, cioè, politico un atto che è, e resta, ontologicamente amministrativo“, scrive il consigliere relatore Emilio Iannello.
L’agenzia Ansa riporta una reazione all’ordinanza del ricorrente. “Non mi interessava il risarcimento ma che fosse accertata la responsabilità di chi ha messo in atto quelle decisioni: è stata una ingiustizia, ci hanno privato della libertà e di potere chiedere asilo senza che avessimo compiuto alcun reato”, dice. Il suo avvocato, Alessandro Ferrara, si dice “soddisfatto ma amareggiato, perché studiare in questo paese è inutile, regna l’ignoranza”. La Cassazione, spiega, “si è limitata a ribadire principi consolidati: un atto politico che lede i diritti fondamentali dell’uomo per definizione non può essere definito tale”. Il risarcimento, precisa infine il legale, non è automatico dopo la decisione della Suprema Corte, ma potrà essere stabilito dalla Corte d’Appello solo in seguito a un nuovo ricorso: se la parte interessata non ripropone il giudizio entro tre mesi dalla pubblicazione dell’ordinanza, la causa si estingue.
*Articolo aggiornato da redazione web alle ore 19 e 24 dell’8 marzo 2025