Chiamare Antonella Clerici è un bell”avere da fare’ in un tardo pomeriggio. Mi preparo, faccio il numero e via: ‘Pronto Antonella?’. Risponde mentre rientra da Milano ad Arquata Scrivia, dove vive in una casa nel bosco che ha ispirato gli studi di È sempre Mezzogiorno. Bella sì, ma non addormentata, anzi accogliente, col tono di chi viaggia tenendo sotto controllo il paesaggio e la conversazione che, ça va sans dire, è “il suo pane”. Sta rientrando dagli studi Rai di Mecenate dove fa il suo programma delle 12 in punto: “Quando vado lì, è come stare al bar con gli amici. Mi piace lavorare in serenità. Siamo una squadra, ridiamo, mangiamo… A The voice, per esempio, la mia è una conduzione ‘a togliere’ ma va benissimo anche perché so che poi, a È sempre Mezzogiorno, mi sfogo. Io sono irruenta”.
A proposito di qualcosa che potremmo definire ‘impetuoso’, la share della prima puntata di The Voice: 24% per 3.708.000 milioni di spettatori. Se lo aspettava?
Non mi aspetto mai niente e devo dire che sono trasecolata. Ero convinta di aver fatto un bel prodotto, questo sì. A me piace la verità nelle trasmissioni televisive. Ho notato da subito che quest’anno c’erano tante persone comuni, che non avevano mai avuto a che fare con la musica per lavoro. Gente con una pura passione, da sempre. Per esempio Maria Castiglione che ha sempre fatto la casalinga ma con le cuffie sulle orecchie per cantare Mina. O Gianvittorio Spolverato che ha commosso Clementino con A Muso Duro. Queste sono le nostre storie. Il pezzo in sé dura due minuti ma è legato alla storia di chi canta perché alle blind (autidion, la prima parte di selezione del programma, nda) i concorrenti portano brani che scelgono loro e a cui tengono. Amo i senior perché hanno una vita. Una vita di racconto, di dolore anche. Non ci sono forzature narrative, raccontiamo davvero quello che loro sono. Poi, anche qui, lavoro con una squadra con cui mi trovo molto bene, a partire dai coach”.
Mi darebbe una definizione per ognuno di loro? Iniziamo da Gigi D’Alessio.
Un musicista puro. Le sue puntellature ci spiegano la musica. È un tecnico di cuore, non un tecnico didascalico. Poi certo ha la parte pop, come me che spesso vengo schifata dal ‘circoletto’ perché sono popolare e penso al pubblico nello stesso modo in cui lo fa Gigi: i suoi brani sono da cantare a squarciagola ai concerti non da ascoltare in un cinema d’essai. Chi si somiglia si piglia.
Clementino.
È energia pura ma è anche un sentimentolone che si emoziona tanto, che si lascia andare alle lacrime.
Arisa
È empatica, molto calda, accogliente. Le interessa il bene del concorrente, anche nelle scelte che fa.
Loredana Berté
Competitiva, battagliera. Vuole le voci migliori e lotta per averle. È veramente rock.
Quanto conta l’impronta del conduttore in un format noto come The Voice?
Io credo che The Voice sia molto moderno per RaiUno e così, soprattutto all’inizio, ho accompagnato il pubblico dentro al meccanismo del programma. Ora è diventato un automatismo e va detto che le Blind Audition sono seguite perché non c’è niente di simile negli altri show musicali. Il ‘momento del divano’ lo abbiamo introdotto noi, non esiste in nessun format straniero ed è il trade union tra la storia del concorrente e la sua esibizione. Da parte mia, ho cercato di ‘scaldare‘ molto il programma, ci ho messo del mio e anche nel montaggio la mia presenza, anche solo espressiva, c’è.
Nel 2026 sono per lei 40 anni di Rai e qualche giorno fa, durante la sua intervista a Che Tempo che Fa, Fazio le ha ricordato di aver lasciato il servizio pubblico proprio dopo 40 anni tondi. C’è una qualche intenzione di seguire la sua via?
No anzi, sto rinnovando il contratto che scade a giugno. La situazione di Fabio era diversa dalla mia, lui non ha avuto una vera e propria scelta. Io sono un po’ come Totti, sono molto legata alla maglia. E poi sarebbe complicato per me, a 60 anni, ricominciare in una nuova azienda. Quando entro in uno studio televisivo Rai, a Roma o Milano, conosco tutti, sono lì da 40 anni. Tra l’altro il 2026 sono i miei 40 anni di Rai, i 10 con Vittorio (Garrone, il suo compagno, nda), i 60 di mia sorella e di Vittorio, i 9o di mio papà quindi, anche se io le odio, mi toccherà fare una festa.
Amadeus invece ha scelto di seguire la via di Fazio ma i risultati non sono stati quelli sperati. Giornali e social sottolineano abbastanza spesso il risultato negativo.
È un bravissimo conduttore. Lo ha dimostrato con i suoi cinque anni sanremesi ma anche con come ha rifondato Affari Tuoi… Non si può dimenticare la storia, la storia parla per noi, anche se siamo inclini a dire ‘ecco un insuccesso, allora sei finito’. Credo che debba trovare i suoi programmi e la sua strada.
Insomma, lei resta in Rai e alla Rai è affezionata ma c’è mai stato un corteggiamento da parte della ‘rivale’ Mediaset?
Sì c’è stato. So che l’ha avuto anche Carlo (Conti, nda) ma noi siamo molto discreti in queste cose. A me non piace fare giochini al rialzo, non è nel mio stile. Quando sono stata ferma e poteva essere un momento per andarmene, io avevo un contratto con la Rai quindi, anche se non mi facevano lavorare, non era semplice svincolarsi. In quel momento, a un certo punto, mi era venuta la tentazione di dire ‘sai che c’è? Vado via’. Poi ci ho pensato e mi sono detta ‘no, non gliela darò vinta. Voglio essere un problema e sto qui'”.
A vedere i risultati dei suoi programmi più che un problema pare un guadagno il fatto che non se ne sia andata.
Con noi, parlo di me o di Carlo Conti, ci guadagnano sempre: siamo nati e cresciuti lì e con questa scusa abbiamo dovuto fare anche la ‘gavetta monetaria’.
È da poco tornata sul palco dell’Ariston. Rifarebbe Sanremo da conduttrice e direttrice artistica?
Non so se rifarei una conduzione perché non so se, anche fisicamente, riuscirei a sostenerla. Carlo Conti ha un altro carattere, non è un passionale, è più calmo. Però le dico che la conduzione e la direzione artistica non possono più essere separate. Una volta tu avevi il 50% di spettacolo di cui si occupava il conduttore mentre dell’altro 50%, relativo alla scelta dei brani, poteva occuparsi un professionista che s’intendeva di discografia, come per me è stato Gianmarco Mazzi. Adesso si è visto che quello che piace alla gente è proprio il Festival della Canzone. A nessuno frega niente di sentire l’intervista di tizio o caio e le superstar internazionali non solo si promuovono sui social ma costerebbero troppo. Oggi, le interviste devono essere piccole punteggiature e gli spazi dei conduttori o quelli comici sono pochissimi: con 30 canzoni, dove vai? Lo spettacolo non c’è più: puoi averne un momento, come è stato in questa edizione con Jovanotti o con i Duran Duran. Ecco perché la direzione artistica diventa inscindibile da una conduzione che ormai è ‘in sottrazione’. Scegliendo le canzoni devi costruire un bel Sanremo.
Il doppio incarico diventa necessario. Quindi lo accetterebbe?
Certo varrebbe anche per me, ma io ormai sono troppo vecchia… Ora lo fa Carlo (Conti, nda), non so se due o tre anni, poi lo farà De Martino che è govane e rampante, oppure Alessandro Cattelan: è giusto che lo faccia la nuova generazione. Io l’ho fatto tante volte, sono salita tante volte su quel palco…
Si è parlato molto della mancanza delle donne sul podio ma, allo stesso tempo, si sono lette parole offensive verso una donna, Marta Donà che, da dietro le quinte, è arrivata alla vittoria di Saremo per la quarta volta, quest’anno con Olly.
Una vergogna. I Maneskin, prima ancora Mengoni: quello che tocca diventa oro perché è brava. È giovane, è bella ed è brava: sono tre doti che purtroppo non ti perdonano. Io trovo che sia una grande talent scout, come Caterina Caselli. Si parla tanto delle donne che non hanno ruoli di rilievo, poi quando arriva una donna che ha potere ci si chiede cosa ci sia dietro. Quello che c’è dietro è semplice: è brava.
Canzoni che le sono rimaste più in mente di questo Festival?
Cuoricini mi risuona nella testa perché è un tormentone pazzesco, però devo dire sono tutte di livello. Giorgia sicuramente ma mi sono piaciuti anche Noemi e Achille Lauro… Direi un po’ tutte, anche quella di Marcella ti rimane in mente.
Canticchia il ritornello e tocca darle ragione: si può non crederci, ma le parole arrivano immediate. Un momento d’oro, quello di Antonella Clerici, che però non ha dubbio su quale sia il successo professionale di cui è più orgogliosa: “Il mio Sanremo del 2010 perché, davvero, ero sola. Nessuno ci avrebbe scommesso: i successi più belli sono quando nessuno ci crede”. Rimpianti non ne ha, o forse quello di non aver capito che “Portobello era stato talmente saccheggiato da tutti che era forse fuori tempo. L’idea di rifare un programma che avavo amato mi ha dato cecità e non sono stata obiettiva”. Il viaggio prosegue e i temi si fanno più personali: “La mia paura più grande? La malattia. Vedo persone che stavano bene e dopo tre mesi non ci sono più. Prima avevo una grande paura di non vedere crescere mia figlia. Ora ha sedici anni e tiro il fiato, perché un po’ l’ho vissuta”. È Maelle a regalarle quelli che definisce momenti di felicità, “quando facciamo una risata insieme studiando latino, quando posso dedicarle del tempo”. Che altro la rende felice? “Cose piccole, per niente trascurabili. E poi la felicità professionale di sapere che il pubblico mi vuole ancora bene“.