Legarsi indissolubilmente agli Stati Uniti di Donald Trump, non lasciando spazio ad alcuna alternativa, è un rischio che l’Unione europea non può permettersi di correre, data l’imprevedibilità e la scarsa propensione al compromesso della nuova amministrazione. La deriva signoresca e protezionista che attende la nuova America è nota da tempo, ma Bruxelles sembra averlo capito solo nelle ultime settimane. Alcuni segnali erano già arrivati, ad esempio con le parole dell’Alto rappresentante per la Politica Estera, Kaja Kallas, che sul dossier Ucraina aveva precisato: l’Europa “è in grado di gestirlo anche senza gli Usa“. Ma la definitiva conferma è arrivata con le parole di Ursula von der Leyen al Forum Economico di Davos: nessuna porta è chiusa, né all’India né alla Cina, differenziare è l’unico modo per l’Europa di sopravvivere in mezzo all’avanzata di Pechino e alle minacce commerciali di Washington.

Linea Trump? Non è un’opzione
Se fino a oggi lo schiacciamento sulle posizioni americane dava origine a una dipendenza, sì, ma da un’amministrazione ideologicamente affine alle idee politiche della maggioranza europea e disponibile al dialogo con Bruxelles, l’establishment Ue ha capito che la stessa strategia non può essere applicata a Donald Trump. Il tycoon, e gran parte del suo staff, è troppo concentrato sul “rendere l’America di nuovo grande”, anche a scapito di chi fino a oggi si è dimostrato un alleato fedele, ad esempio imponendo l’acquisto di prodotti americani sotto la minaccia di dazi. E dalla dipendenza dal gas russo l’Europa sembra aver compreso una lezione: differenziare è l’unico modo per non morire se il tuo unico alleato ti volta le spalle.

In questa direzione sembrano virare le parole di von der Leyen, soprattutto quando dice che “siamo entrati in una nuova era di dura competizione geostrategica, l’Europa deve cambiare marcia”. E quando annuncia che “il primo viaggio della nuova Commissione” sarà in India per “potenziare” con il presidente Narendra Modi “il partenariato strategico con la più grande democrazia e il più grande Paese del mondo”. Parole non casuali, dato che tali appellativi sono gli stessi che gli Stati Uniti da sempre usano per identificarsi nel contesto internazionale.

La capa del Berlaymont ha poi aggiunto un altro elemento che avrà fatto suonare più di un allarme oltreoceano: “Credo – ha continuato – che dobbiamo impegnarci in modo costruttivo con la Cina per trovare soluzioni nel nostro reciproco interesse. Il 2025 segna il cinquantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche della nostra Unione con la Cina. La vedo come una opportunità per impegnarci e approfondire le nostre relazioni e, ove possibile, anche di espandere i nostri legami commerciali e di investimento. È tempo di perseguire una relazione più equilibrata con la Cina, in uno spirito di equità e reciprocità”.

Lontani sembrano i tempi in cui Pechino veniva additata come la più grande sfida per l’Ue, più della minaccia russa. La nuova posizione europea è anche contraria rispetto a quanto auspicato dal nuovo presidente americano che, dice von der Leyen, deve fare una scelta: “La nostra priorità sarà impegnarci presto, discutere interessi comuni ed essere pronti a negoziare” con la nuova amministrazione, “saremo pragmatici, ma rimarremo sempre fedeli ai nostri principi. Proteggere i nostri interessi e sostenere i nostri valori, questo è il modo europeo”. Un chiaro messaggio a chi ipotizzava, ad esempio, un allineamento sulle politiche (non) green del nuovo presidente Usa che ha annunciato l’uscita dall’Accordo sul clima di Parigi, la ripresa massiccia di trivellazioni e lo stop ai limiti ai combustibili fossili in diversi settori. Per l’Ue, e in special modo per von der Leyen, allinearsi vorrebbe dire tradire ulteriormente gli ultimi cinque anni di mandato in nome di un’Europa più pulita e verde. La presidente della Commissione ha infine pronunciato parole che suonano come un avvertimento per i partner americani: “Le regole di ingaggio tra le potenze globali stanno cambiando. Non dovremmo dare nulla per scontato. Dovremo lavorare insieme per evitare una corsa globale al ribasso” perché “non è nell’interesse di nessuno rompere i legami nell’economia globale. Piuttosto, dobbiamo modernizzare le regole per sostenere la nostra capacità di produrre un guadagno reciproco per i nostri cittadini”.

L’Ue volge di nuovo lo sguardo a Est
Così, già dopo la vittoria elettorale di Trump, mentre le destre di tutta Europa esultavano consapevoli di avere un nuovo punto di riferimento a Washington, le istituzioni Ue si muovevano in direzione opposta a quella tenuta nel corso dell’amministrazione Biden: i contatti con Pechino si sono intensificati e la volontà dell’Europa è quella di aprire un canale più solido rispetto al passato. Oggi lo ha ammesso anche von der Leyen.

Un cambio di posizione che contraddice quella più attendista tenuta negli ultimi anni nei confronti di Pechino. Ma oggi, con il mercato russo fortemente ridimensionato e quello americano che rischia di far pendere la bilancia commerciale dalla parte Usa, aprire o consolidare altre ‘rotte’ diventa fondamentale per non dipendere esclusivamente dagli umori di Washington. Lo chiede l’industria europea e anche cancellerie importanti come quelle di Francia e Germania. Da qui nasce la volontà di intensificare la collaborazione con Pechino, lanciare definitivamente quella con un’altra grande potenza come l’India e, in generale, con i mercati mondiali più floridi. L’allineamento totale al tycoon non è un’opzione considerata praticabile, fanno sapere da Bruxelles, e l’apertura di nuovi canali è una priorità.

Meloni in mezzo a due fuochi
La reazione europea appare comunque tardiva, ma genera un nuovo dilemma intorno alla figura di Giorgia Meloni: sarà davvero lei, come auspicano in Fratelli d’Italia, a fare da ponte tra Usa e Ue? O rischierà di rimanere schiacciata tra i due giganti? Dal punto di vista americano la strategia sembra chiara: non si parla con l’Europa, ma con i singoli Stati. E soprattutto si parla con la presidente del Consiglio italiana. Lo dimostrano la sua amicizia con Elon Musk, i viaggi e gli incontri riservati con Donald Trump e l’ultima decisione di invitarla come unico capo di Stato o di governo Ue alla cerimonia di insediamento, lasciando invece fuori le istituzioni comunitarie.

Ma il ruolo che la premier sta cercando di ritagliarsi non piace affatto e, anzi, infastidisce il nuovo establishment Ue, nominato grazie a una maggioranza di cui FdI non fa parte. Così, all’orizzonte si profila un nuovo duello tra Meloni e von der Leyen, con la prima che fino a oggi è riuscita a ottenere risultati adottando una strategia politicamente aggressiva. Adesso, però, in ballo ci sono i soldi. Tanti soldi. A Bruxelles questa intimità tra i governi di Roma e Washington viene interpretata come un tentativo italiano di sottrarsi alla valanga di dazi minacciati da Trump anche sui prodotti Made in Ue. Favorire le eccellenze italiane a scapito di quelle francesi, spagnole o greche, solo per citarne alcune, creerebbe una crisi interna all’Unione difficile da superare. Così, soltanto aprendosi ad altri mercati, creando alternative e, quindi, depotenziando l’influenza americana sull’economia europea si potrà evitare uno scontro del genere. Trump si trasforma così in opportunità per una maggiore autonomia europea. E a pagarne il prezzo potrebbe essere proprio l’Italia: non si escludono ritorsioni da Bruxelles.

X: @GianniRosini

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