“I cittadini americani potranno finalmente comprare l’auto che vogliono”. Con poche e chiare parole il neo-insediato presidente degli Stati Uniti Donald Trump taglia le gambe all’auto elettrica, da tempo nel mirino del tycoon, che aggiunge: “Revocherò il mandato sulle elettriche”, eredità delle politiche del (già dimenticato) Joe Biden. In buona sostanza, per il neo inquilino della Casa Bianca, il Green Deal “è finito” e la transizione energetica è rimandata a data da destinarsi.

Così, mentre sancisce l’uscita degli Usa dall’Accordo di Parigi sul clima – “Risparmieremo tre miliardi di dollari”, ha detto il suo consigliere porgendogli l’ordine esecutivo da firmare –, Trump detta le linee guida ai car makers americani (e non solo): per The Donald la netta frenata sull’elettrone “permetterà di salvaguardare l’industria dell’automobile e i suoi grandi lavoratori”, da tempo alle prese coi costi industriali e umani di una transizione quantomeno mal programmata. Dunque, “Drill, baby, drill” (trivella, baby), ha detto Trump, ricordando che gli Stati Uniti sono il Paese con le maggiori risorse di petrolio e che queste saranno sfruttate per intero al fine di “abbassare i prezzi e ridurre l’inflazione”.

Intenti che, inevitabilmente, finiscono per creare imbarazzi sia alla Commissione europea, arroccata sul Green Deal, sia alle multinazionali dell’automobile, che saranno probabilmente costrette a rivedere i loro piani industriali, ridimensionando nettamente le loro strategie di elettrificazione. Sicché l’Europa della “auto elettrica a tutti i costi” appare adesso come il vaso di coccio fra i vasi di ferro, schiacciata da un lato dalle annunciate politiche protezioniste e basate sull’energia fossile volute da Trump e, dall’altro, dalla Cina che detiene il monopolio assoluto dell’elettrificazione e ha il controllo assoluto della catena del valore delle vetture a batteria. Insomma, che è praticamente imbattibile sotto il profilo della competitività.

Stretti in questa morsa ci sono i costruttori europei, sempre più deboli sul mercato cinese – a causa dei competitor locali – e a rischio pure negli Usa dopo l’arrivo di Trump, ostile ai prodotti stranieri, specialmente se elettrici. Una bella gatta da pelare per alcuni colossi dell’automobile, soprattutto tedeschi, che hanno messo tutte le loro uova nel paniere dei veicoli a elettroni Made in Europe. Gli stessi che, ormai, appaiono “bruciati” negli Stati Uniti (secondo mercato automobilistico del mondo), non concorrenziali in Cina (primo mercato automobilistico del mondo) e poco apprezzati in Europa.

Nonostante i campanelli di allarme sembrino sirene antiaeree, il commissario europeo per il Clima, Wopke Hoekstra, è convinto che i gruppi europei riusciranno a rispettare gli obiettivi del Green Deal – che con Trump alla Casa Bianca è stato declassato a ‘questione regionale’ – nel percorso che dovrebbe portare alla dismissione totale delle vetture termiche nel 2035. Data che, industrialmente parlando, è dopodomani. La Commissione europea “aiuterà i costruttori” a raggiungere il target sul full electric, ha ribadito Hoekstra, contrario a ogni tipo di dietrofront o ammorbidimento delle normative, in un’intervista a Bloomberg: “Faremo del nostro meglio per garantire che il settore auto europeo abbia un futuro molto luminoso qui in Europa”. Dimenticandosi, però, che le multinazionali dell’auto non possono vivere di sola Europa.

Nel frattempo, il 30 gennaio inizierà il “Dialogo strategico” fra Commissione Europea e rappresentanti del settore automobilistico per discutere su possibili soluzioni alla crisi del comparto automotive. Il confronto sarà presieduto dalla presidente Ursula von der Leyen – assente illustre all’insediamento di Trump, dove l’Europa è stata del tutto snobbata – che proverà a trovare una quadra fra le posizioni delineate dal commissario europeo per il Clima e le richieste dei costruttori sul fronte normativo, in primis congelare le multe per lo sforamento dei limiti alle emissioni attualmente in vigore e anticipare la clausola di revisione del regolamento che impone, di fatto, lo stop alla vendita di autovetture a combustione interna nel 2035.

Veniamo, infine, all’apparente dissonanza fra le politiche di Trump e gli interessi del suo principale sostenitore, Elon Musk, patron di Tesla – primo costruttore di auto elettriche del mondo – e appena nominato al vertice del Dipartimento per l’efficienza governativa, che ha l’obiettivo di modernizzare la tecnologia e il software federali per massimizzare, appunto, l’efficienza e la produttività governative dell’infrastruttura di rete e dei sistemi IT.

Già in campagna elettorale il tycoon aveva espresso la volontà di eliminare gli sgravi fiscali previsti per l’acquisto di veicoli a batteria. Interpellati su questa possibilità, i vertici di Tesla si sono detti favorevoli alle politiche trumpiane. E il perché è presto spiegato: secondo il costruttore, infatti, l’abolizione dei suddetti incentivi potrebbe sì creare qualche problema di vendita a Tesla ma, al contempo, sarebbe il colpo di grazia alla sua concorrenza, che già fatica tantissimo a piazzare vetture a batteria agli automobilisti americani.

Quindi, nel lungo termine, sarebbe comunque la Tesla a garantirsi il monopolio dell’automobile elettrica negli States. E, nel frattempo, gli sforzi di Musk si potrebbero meglio concentrare sulla nuova corsa allo Spazio americana: oltreché quelle del sistema satellitare americano, infatti, Trump ha già messo nelle mani di Musk anche le chiavi di Marte, facendolo saltare di gioia in prima fila alla cerimonia di insediamento. A riprova che di “dissonanze” fra i due imprenditori non ce n’è nemmeno l’ombra.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti

TRUMP POWER

di Furio Colombo 12€ Acquista
Articolo Precedente

Un design in equilibrio tra sensualità e dinamismo, ecco il segreto di Renault Symbioz

next
Articolo Successivo

Il 58% degli europei è contrario al bando di diesel e benzina nel 2035. Al via il 30 gennaio il tavolo l’UE sull’automotive

next