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Tensione all’Eurovision Song Contest, fischi a Israele e cortei pro Palestina a Malmö

di Stefano Mannucci

Si canta, non si fischia. L’European Broadcasting Union era stata chiara: niente politica a Malmö. Ma come fai a tenere le tensioni globali fuori dall’Eurovision Song Contest? Il festivalone iperpop e ultratrash (per l’Italia, finalista di diritto, c’è la vincitrice di Sanremo Angelina Mango) è una vetrina live in mondovisione, che si spacca facilmente con le grida “Free Palestine” dal pubblico in sala. Ne sa qualcosa Eden Golan: sin dalle prove della seconda semifinale la rappresentante israeliana è stata apertamente contestata in scena (e ignorata in sala stampa) ed è stata fischiata anche in serata, malgrado il suo brano Hurricane parli di una storia d’amore.

Hurricane è la terza scelta: la prima, October Rain, conteneva espliciti riferimenti agli attacchi di Hamas e ai “fiori”, in gergo i morti in battaglia. Lo scontro mediatico-diplomatico era già stato aspro all’inizio dell’anno quando l’EBU, dietro le pressioni internazionali per escludere Israele dall’evento musicale, aveva chiesto la modifica al testo. Un primo diniego della tv di stato di Tel Aviv con la minaccia di chiamarsi fuori, poi l’intervento diretto del presidente Herzog per far rivedere i versi incriminati.

Neppure questo era bastato, ed Eden Golan aveva ripiegato dapprima su Dancing Forever, infine su Hurricane. Ma già prima della diretta della seconda eliminatoria di stasera, in vista della finale di sabato, Malmö è una pentola a pressione con misure di sicurezza degne di un G8: dopo l’attracco in porto della nave dell’Ong “Ship to Gaza” proveniente dalla Norvegia, ecco il corteo pomeridiano ad alta tensione – con contro concerto – di 25mila manifestanti, tra loro c’è anche Greta Thunberg, a debita distanza dall’Arena del Festival, al cui interno è vietato mostrare bandiere palestinesi. Divieto aggirato martedì scorso da Eric Saade, cantante e presentatore svedese con Dna del Libano e della Striscia che si è esibito fuori gara riproponendo Popular, con cui nel 2011 aveva conquistato il terzo posto nella kermesse. Saade si è presentato sul palco con una kefiah avvolta nel braccio, suscitando i malumori dell’ente organizzatore.

Questione spinosa anche per Bambie Thug, la partecipante dell’Irlanda, che per la sua Doomsday Blue si era scritta sul corpo una frase l’antico alfabeto “Ogham” dell’isola smeraldina: un appello al cessate il fuoco e alla libertà. E mentre per la vittoria i bookmakers indicano come favorito il croato Baby Lasagna, un’alleanza trasversale di artisti in concorso – i norvegesi Gate, i sammarinesi Megara, lo svizzere Nemo e la danese Sabachiede – chiede in una dichiarazione congiunta la fine delle ostilità e la liberazione degli ostaggi nelle mani di Hamas.

Non bastasse, l’israeliana Eden Golan è l’unica artista di sangue russo presente in Svezia. Mosca è stata nuovamente esclusa dalla competizione, così come la Bielorussia. L’Ucraina ha spedito a Malmö Alyona alyona e Jerry Heil, che nella loro Teresa & Maria hanno lasciato alla scenografia (una pioggia di pietre incandescenti in un’ambientazione mitologica) l’allusione all’impasse di Kiev al fronte. Dove due anni fa erano andati a combattere i componenti della Kalush Orchestra dopo la scontata vittoria all’Eurofestival di Torino. L’Ucraina si era affermata anche nel 2016 grazie a Jamala, e anche in quell’occasione il suo “1944” aveva alimentato una grana storico-politica, dato il tema dei tatari deportati dalla Crimea da Stalin perché sospettati di collaborazionismo con Hitler. Sette anni prima l’incidente era stato invece innescato dal brano dei georgiani Stephane and 3G: la loro We Don’t Wanna Put In suonava esplicita sin dal titolo: l’Ebu invitò “caldamente” il gruppo a ritirarsi prima che si accendessero le telecamere della semifinale.

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