Ma tu perché scrivi ai ragazzi? La domanda me la pone uno degli alunni di una scuola della provincia di Napoli in cui sono andata a fare l’incontro su Operazione Ri(s)catto, romanzo in cui si legge, ci si diverte – spero – e si riflette sul rapporto donne e lavoro attraverso le vicende rocambolesche di Miriam, una ragazzina che vuole una “mamma a forma di mamma”, e invece guarda un po’ ne ha una che non solo lavora ma che è anche appassionata del suo lavoro. Jattura più grande non può esistere e invece. Perché scrivo ai ragazzi, mi chiede questo eroico lettore in erba (ubi target, minor cessat) e io che a questa domanda mi sono preparata per mesi, taccio quei dieci secondi utili a far pensare che non la so, che proprio questa non la so, accidenti, e manco al posto posso andare perché i posti, davanti a me sono tutti occupati da loro.

Mi appello ai grandi che albergano nel mio piccolo background. Rodari diceva che per scrivere per i più piccoli “ci vuole quella luce in più”. Mi guardo dentro e no, non illumino neanche il mio ombelico figuriamoci se posso avere il terzo occhio. Mi aggrappo alla Montessori: i collegamenti, l’andare al di là, la creatività. No, troppo alto non ci arrivo. Nessuno mi aveva avvertito che avrei dovuto scalare l’Everest con le infradito restando dentro a una scuola. I secondi passano e io che non sudo mai comincio a sentire quella roba che molti chiamano fronte imperlata. Tento un’altra strada, tolgo il punto interrogativo e metto i puntini di sospensione, che peraltro odio. Si scrive per i ragazzi perché… Il seguito di questa frase mi verrà, no? No.

In altri momenti avrei detto, l’Aula Magna è piena, fico.

Sono giornate di aule vuote e di piazze piene, di studenti che protestano oltreoceano e al centro dell’Europa, di un’onda di ribellione che parla di pace e prima ancora di diritti. Torno al mio presente, sono in una piazza al chiuso, colma di persone tra gli undici e i quattordici anni che attendono una risposta. Faccio il giro della cattedra, mi metto davanti a loro e nella mente penso, non che è tra tutti questi occhi un paio possono arrivare in mio soccorso?

E’ un attimo, detto fatto. Incrocio lo sguardo di un altro ragazzino, uno dodicenne che poco prima facendosi coraggio e forza mi aveva chiesto che consiglio avrei dato a chi avverte la mancanza della mamma che va a lavoro. “Bisogna essere molto contenti quando una mamma va a lavoro”, gli avevo risposto pronta, “perché quella mamma non pensa solo alla sua famiglia, ma anche a una famiglia, più grande e, che si chiama società”. Lo avevo visto andare a sedersi sollevato, ricordo il suo sorriso, la sua testa che faceva cenno di sì. Come a dire, ok, mi hai convinto. Non avevo detto molto, avevo solo riportato sul concreto un disagio subdolo, eppure quell’alunno aveva trovato una risposta al suo cruccio. Possibile?

Aspetto ancora un momento a rispondere, torno a pensare alle piazze di questi giorni, a quel che si consuma in strada per dire no ai tempi cupi che stiamo vivendo e che non rischiano di dissiparsi a breve. Le università che si infuocano, le città che dicono no a certe candidature bozzettistiche, il ritorno al buio della non ragione di fronte ai consultori laici assediati dall’imperialismo religioso che pretende che la legge dello stato venga dopo quella di alcune coscienze e non di altre. E perché. Adesso sono io che me lo chiedo, perché.

La risposta che non mi viene la trovo in quest’ultima domanda a me stessa. Passa pochissimo tempo e mi viene in mente un romanzo per ragazzi, La figlia del dottor Baudoin. Dove la grandissima Marie Aude Murail ci dice che l’aborto è una legge dello Stato, che nei consultori bisogna supportare e non condizionare, che un figlio devi averlo ma solo se lo vuoi e che non esiste senso di colpa se non negli occhi di giudica senza capire. E’ un romanzo per ragazzi ma è soprattutto una lezione di storia, filosofia, educazione civica, di autodeterminazione. Eureka, mormoro tra me. Eureka, esclamo, gli occhi di tutti gli scolari fissi su di me in attesa di una risposta.

Prendo fiato e penso adesso rispondo perché la so, si scrive ai ragazzi e non per i ragazzi, perché si scrive oggi a chi voterà domani. Il modo in cui voteranno, discuteranno e protesteranno dipende da quello che hanno ascoltato o letto ora. Perché si sta tra i banchi adesso come si starà in piazza domani.

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