Nella scuola dove Pio La Torre si diplomò nel 1945, nella città dove venne ucciso nel 1982, è stato scoperto un grande murale che ricorda il sindacalista della Cgil e dirigente del Pci, ispiratore della legislazione antimafia. L’opera è dipinta sulla parete dell’Istituto tecnico Vittorio Emanuele III a Palermo, che per tutta la giornata di lunedì 29 aprile ha ospitato l’assemblea generale con centinaia di funzionari Cgil e importanti protagonisti del contrasto alle mafie provenienti da tutta Italia. “Ora tocca a noi” diceva Pio La Torre pochi giorni prima di essere ucciso, e uno stralcio del film che porta come titolo quella frase ha aperto l’assemblea, con il regista Walter Veltroni a ricordare il dolore di 42 anni fa. Un dolore condiviso col figlio di Pio, Franco La Torre, che rammenta quanto furono importanti gli studi scolastici per sfuggire al destino certo di tanti ragazzi siciliani negli anni Quaranta: diventare braccianti. La Torre abbracciò poi la causa di quei contadini e lavoratori, che finivano per essere le prime vittime delle attività illecite costruite grazie agli accordi politico/mafiosi, e ne fece la sua ragione di vita.

Nella giornata del ricordo è però il presente a tenere banco. “Oggi”, ha detto Franco La Torre, “la mafia fa meno rumore. Il movimento antimafia deve perciò aggiornare le sue analisi di lettura di questo fenomeno criminale. Nella politica riemerge l’idea di attaccare la legge La Torre. Dobbiamo respingere questo tentativo”. L’azione di Pio La Torre ha contribuito, ricordano i magistrati, alla nascita di una legislazione tra le più avanzate nel mondo, che contempla il reato di associazione mafiosa e stabilisce le regole per la confisca dei beni. Norme che oggi vengono considerate un ostacolo e messe sotto accusa da un modello economico distorto. Disposto a chiudere affari con le organizzazioni criminali in cambio di servizi illeciti utili a frodare il fisco, aumentare i ricavi, abbattere i costi a scapito della dignità e della sicurezza sul lavoro. Mentre la maggioranza che governa il Paese si mostra forte con i deboli e accondiscendente con i forti. Fino a voler colpire il più importante presidio di democrazia ancora in vita nel Paese: la Costituzione nata dalla vittoria sul nazifascismo.

“Svolta autoritaria” la chiama il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, portando a sintesi la maratona di interventi che lo hanno preceduto per otto ore senza interruzione. Quasi un coro, che accomuna sindacalisti, magistrati, politici, studenti, rappresentanti di associazioni e professori universitari. Da Maurizio Landini a don Luigi Ciotti, da Pietro Grasso a Rosy Bindi. Da Roberto Scarpinato a Calogero Paci e Bruno Giordano. Da Luciana Castellina a Sandro Ruotolo, Leoluca Orlando, Stefania Pellegrini. E tanti altri.

Nella sua introduzione Alessio Festi, nuovo responsabile Legalità della Cgil nazionale, ha indicato subito il bene da blindare in difesa della democrazia: la Costituzione. Messa sotto attacco da politiche governative che approfondiscono il solco esistente tra le parole scritte sulla Carta e la realtà del Paese. “Viviamo una fase drammatica” ha detto il senatore ed ex magistrato e ora senatore M5s Roberto Scarpinato, nella quale si cerca di scardinare alcuni pilastri fondamentali della Costituzione: “la separazione dei poteri, l’indipendenza della magistratura, l’unità nazionale”. Rosy Bindi ha parlato di “nuova questione morale” e aggiunto: “Siamo da anni asserviti a una economia di guerra e abbiamo dimenticato che se vuoi la pace devi preparare la pace”. E intanto nel ricco Nord Italia “la mafia si è fatta impresa entrando a testa alta nel mercato economico” ha aggiunto il procuratore Calogero Paci che ha concluso amaramente: “A Reggio Emilia si viene ad acquistare pacchetti di false fatture mentre gli incidenti sul lavoro crescono in modo preoccupante e nascono associazioni che si dichiarano contro le mafie ma in realtà sono contro le interdittive”. Don Ciotti ha denunciato la pericolosità di una politica che si esprime con la forza e chiede al contrario di condividere la forza di una politica in grado di ricostruire uguaglianza e giustizia sociale. Stefania Pellegrini, nella cui università di Bologna si assegna ogni anno il premio “Pio La Torre”, ha citato le esperienze positive di educazione, formazione e informazione alle quali lavorano assieme sindacato e mondo accademico, per dire che certo: le mafie al Nord sono vive e vegete, ma assieme al loro e contro di loro “ci siamo anche noi che non ci molliamo”. Infine, durante l’incontro, è stata avanzata la proposta di intestare a Pio La Torre la scuola dove studiò il segretario regionale del Pci ucciso dalla mafia, attualmente intestato a Vittorio Emanuele III. “Siccome ci siamo lasciati alle spalle la monarchia – ha detto il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia – sarebbe anche un atto simbolico”.

La Cgil ha organizzato questa assemblea nazionale in uno dei momenti più preoccupanti, per la tenuta della democrazia nel Paese, dal dopoguerra a oggi. Lo ha detto il segretario nazionale Cgil Landini: “Quando più della metà dei cittadini non va a votare, la democrazia scricchiola, perché si governa il paese eletti da una minoranza e perché chi oggi vuole cambiare la Costituzione non ha certamente contribuito a scriverla”. Landini ha guardato anche alla propria organizzazione chiedendo un salto di qualità nell’ascoltare, nel coinvolgere, nell’alzare l’asticella delle rivendicazioni a tutela delle libertà dei cittadini e dei lavoratori oggi aggredite, mentre ai mafiosi è consentito di offrirsi al mercato come fornitori di servizi “legalmente illegali”. Ha lanciato una campagna referendaria difficile e complessa, con in ballo altri diritti svuotati di dignificato da 25 anni di scelte che hanno impoverito milioni di italiani: “Il diritto di associarsi, il diritto di scioperare, il diritto di votare”. Nell’aula magna dove ha parlato Landini, reggiano di nascita, appesa al muro c’è la bandiera del primo Tricolore regalata alla scuola nel 2003 dal comune di Reggio Emilia. La bandiera sotto la quale nel 1797 nacque la prima Repubblica dopo secoli di oppressione dei ducati. Quasi un segno del destino.

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