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Verso Vincenzo Agostino abbiamo un debito enorme: perciò trovo più irrispettose certe teorie

Verso Vincenzo Agostino abbiamo un debito enorme: perciò trovo più irrispettose certe teorie
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​Ogni anno, il 21 marzo, si svolge la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime di mafia, organizzata da Libera. Il momento più significativo e commovente della giornata è la lettura dell’interminabile elenco delle vittime innocenti di mafia, oltre 1100, nel silenzio assoluto delle decine di migliaia di persone presenti, soprattutto giovani. Numerosi ogni volta sono i familiari delle vittime. Alcuni di essi mostrano cartelli con la fotografia della persona uccisa e la data dell’omicidio.

Con molti familiari conosciuti nella Giornata della memoria sono riuscito a creare (specie negli anni in cui ho lavorato alla Procura di Palermo) legami di amicizia. Posso quindi testimoniare che i familiari delle vittime di mafia sono anch’essi vittime, perché vivono un continuo, immenso dolore che non lascia respiro. Lo sopportano con dignità e coraggio. Chiedono giustizia e non vendetta.

Queste parole si rafforzano e acquistano un significato persino maggiore nel momento in cui viene annunziata la morte di Vincenzo Agostino, che il 5 agosto 1989 perse il figlio Nino e la nuora (incinta), uccisi dalla ferocia di una squadraccia di killer mafiosi. Vincenzo, sempre accompagnato – prima della morte sopravvenuta qualche anno fa – dall’inconsolabile moglie Augusta, è a tutti noto anche per la foltissima barba bianca che aveva deciso di non tagliarsi più a partire da quel tragico attentato di 35 anni fa, finché non avesse avuto piena giustizia.

Nei suoi confronti abbiamo tutti un debito enorme: la sua fermezza e la sua perseveranza sono state un richiamo potente a non dimenticare e un punto di solido riferimento morale.

Ancora una volta quindi devo dire che considero assolutamente irrispettoso che qualcuno possa pensare (eppure è avvenuto!) alla necessità di una “rieducazione delle vittime, da affidare alla competenza di esperti psicologi”; e ciò accampando l’ingiustificato e assurdo timore che i familiari possano “sbilanciare”, accentrandola su di sé, la trattazione dei problemi di mafia.

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