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“Lavorare dalle 9 alle 17 è troppo, non ho più una vita”: 8 giovani su 10 pronti a lasciare il lavoro per i sintomi di burnout

Il burnout, l’insieme di sintomi che deriva da una condizione di stress cronico e persistente associata al contesto lavorativo, è stato riconosciuto dall’Organizzazione mondiale della sanità,

di 30science per Il Fatto

A livello globale, la percentuale di dipendenti che sperimenta sintomi di burnout si attesta intorno al 20% e i giovani sono fra i più colpiti. A rivelarlo un recente sondaggio condotto dal McKinsey Health Institute che ha coinvolto 30.000 dipendenti di 30 paesi. Il burnout, l’insieme di sintomi che deriva da una condizione di stress cronico e persistente associata al contesto lavorativo, è stato riconosciuto dall’Organizzazione mondiale della sanità, che lo ha inserito nella classificazione internazionale delle malattie. I risultati mostrano che il 22% dei lavoratori a livello globale sperimenta sintomi di burnout e i lavoratori giovani sono quelli colpiti in modo più significativo. In particolare, l’80% di dipendenti appartenenti a Gen Z e Millennial sarebbe pronto a lasciare il lavoro, a causa di una cultura aziendale tossica. A testimonianza dell’incidenza di questa condizione psicologica nelle fasce più giovani, non può non essere citato lo sfogo, andato virale su Tiktok, di Briselle Asero, una ragazza ventunenne neolaureata che dopo il primo giorno di lavoro in ufficio si è lasciata andare a un video sul social, nel quale lamentava che l’orario di lavoro le impedisse di gestire la propria vita privata.

“Lavorare dalle 9 alle 17 è troppo, non ho più una vita”, ha detto la giovane Briselle nel suo video. Oltre che fra i giovani, un maggior numero di casi di burnout è stato riscontrato tra i dipendenti di aziende più piccole, che non ricoprono posizioni manageriali. Lo studio ha, inoltre, rilevato differenze sostanziali tra le nazioni. In particolare, i tassi più alti sono evidenti in India con il 59%, mentre i più bassi in Camerun con il 9%; anche l’Italia si colloca nella parte bassa della classifica, con solo il 16% dei casi di burnout, nonostante la percentuale di esaurimento delle forze e conseguente stanchezza fisica e mentale sia alta e si trovi al 43%. “Questi dati sottolineano la necessità di porre attenzione ai processi di ascolto dei propri dipendenti, monitorando costantemente il clima aziendale”, ha sottolineato Francesca Verderio, training & development practice leader di Zeta Service, azienda italiana specializzata nei servizi hr e payroll. I conflitti interpersonali, la mancanza di chiarezza riguardo a compiti, responsabilità e obiettivi, la pressione legata alle tempistiche e al carico di lavoro possono portare a confusione, stress e scarsa produttività, determinando il burnout dei dipendenti. Le frequenti dimissioni dei giovani rappresentano per il 60% dei talent manager uno dei più grandi ostacoli per l’introduzione di nuove skill e la crescita dell’impresa.

Più in generale, come evidenziato da Cnbc, il calo della soddisfazione lavorativa registrato dal 2020 ad oggi potrebbe impattare sull’economia globale con una perdita di circa 8,8 trilioni di dollari in termini di produttività. “Moltissime aziende negli ultimi anni ci hanno segnalato una maggiore difficoltà a trattenere le risorse, c’è stato infatti un significativo aumento delle dimissioni in tanti settori diversi, che ha portato il tema della retention al centro del dibattito di hr e dirigenti: in quest’ottica mettersi in ascolto delle proprie persone e quindi monitorare costantemente il clima aziendale diventa fondamentale”, ha commentato Verderio.

Il sondaggio del McKinsey Health Institute ha evidenziato che un ambiente lavorativo positivo consente ai dipendenti di sperimentare un benessere maggiore e aumenta la produttività. I dati trovano conferma in un’altra indagine che il McKinsey Health Institute ha condotto insieme a Business in the Community, secondo cui il valore economico del miglioramento del benessere dei dipendenti del Regno Unito, ad esempio, potrebbe oscillare tra 130 e 370 miliardi di sterline all’anno, tra il 6 e 17% del Pil, il che equivale a 4.000-12.000 sterline per dipendente. “I risultati sottolineano la necessità, per le imprese, di monitorare costantemente il clima aziendale”, ha spiegato Verderio. “Conoscere le esigenze e le opinioni dei dipendenti è fondamentale per migliorare tutti gli aspetti della vita lavorativa”, ha aggiunto Verderio. “È riduttivo pensare che l’abbandono del posto di lavoro sia legato a tematiche retributive o di carriera o da altre aziende che corteggiano i propri dipendenti con offerte irrinunciabili, quando in realtà si tratta di problematiche meno evidenti, rilevabili attraverso strumenti di ascolto più profondi”, ha sottolineato Verderio. “Tra questi – ha proseguito Verderio – l’analisi di clima è particolarmente immediato ed efficace, consentendo di capire la percezione dei dipendenti dell’azienda rispetto al luogo di lavoro e quindi, per esempio, il senso di appartenenza, quanto l’azienda si prenda cura delle proprie persone in termini di benessere psicologico e salute, il supporto offerto dal proprio gruppo, l’equità o l’eticità dei comportamenti manageriali, piuttosto che le possibilità di formazione o di percorsi di carriera”, ha precisato Verderio.

Il clima aziendale ha, dunque, un ruolo fondamentale per i lavoratori, che spesso trascorrono la maggior parte della loro giornata in azienda. Una ricerca di PwC ha evidenziato che in Italia, per ben 4 Ceo su 10 la propria azienda non potrà sopravvivere per più di 10 anni senza un processo di trasformazione. Un dato significativo considerando che questa visione viene condivisa anche dal 25% dei dipendenti e, in particolare, dal 44% dei giovani lavoratori intervistati nel corso dell’indagine. “L’analisi del clima aziendale dev’essere concepita come una sorta di monitoraggio costante e non solo come uno strumento da adottare nei momenti di difficoltà o crescita dell’organizzazione”, ha osservato Verderio. “Inoltre, è fondamentale affidarsi ad una società esterna terza in grado di garantire una lettura ragionata, equa e imparziale delle risposte”, ha suggerito Verderio. Con Eleva People Value, sviluppato da Zeta Service Eleva in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia de La Sapienza Università di Roma, la rilevazione viene realizzata sempre in presenza di uno psicologo, il che garantisce l’uso etico dello strumento, aiutando i dipendenti a sentirsi protetti nell’esprimere i propri pensieri. “È altrettanto importante comunicare loro i risultati emersi nel modo corretto, sottolineando come questi siano un concreto punto di partenza per il miglioramento dell’impresa e della sua competitività sul mercato”, ha concluso Verderio.

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