Ben prima che un’intervista a Giuliano Amato riportasse all’attenzione la ricerca di verità sulla strage di Ustica, i famigliari delle vittime della banda della Uno bianca – il gruppo criminale formato da poliziotti che tra il 1987 e il 1994 uccise 23 persone e ne ferì oltre 100 – hanno presentato a maggio alla Procura di Bologna un esposto tramite gli avvocati Alessandro Gamberini e Luca Moser. I parenti delle vittime sostengono che c’è un collegamento con Ustica con la banda e chiedono di riaprire le indagini per trovare mandanti e complici del gruppo criminale. Il filo tra le due vicende, messo in evidenza del corposo dossier, riguarda la figura di Roberto Savi, ex poliziotto all’ergastolo, capo del gruppo insieme al fratello Fabio che lo scorso gennaio si è visto rigettare la richiesta di poter lavorare fuori dal carcere. Un personaggio, secondo l’esposto dei familiari (assistiti dagli avvocati Alessandro Gamberini e Luca Moser), che aveva a disposizione informazioni che dimostrerebbero i suoi rapporti con mondi legati ai servizi di sicurezza.

“Con certezza Roberto Savi, nell’ambito dei rapporti che intratteneva con fonti e mondi legati ai servizi di sicurezza – affermano gli avvocati Gamberini e Moser – ha avuto modo di intercettare notizie afferenti alla strage di Ustica, che solo nell’ambito di alcune agenzie e contesti operativi potevano ‘girare’ nei primi anni ’90”. A tirare in ballo Savi sono dichiarazioni del 1995 di Pietro Gugliotta, altro ex poliziotto appartenente alla banda, ora riproposte all’attenzione degli investigatori. Gugliotta fu sentito dai pm bolognesi Valter Giovannini e Paolo Giovagnoli e riferì di confidenze ricevute da Savi. Durante uno spostamento in macchina verso la Liguria, appena superato il confine con la Toscana, Savi indicò una zona montuosa dove un Mirage francese, a suo dire coinvolto nell’azione che causò l’abbattimento del DC9 di Ustica, avrebbe sganciato un serbatoio supplementare. Savi avrebbe anche detto a Gugliotta di aver pilotato lui il Mirage, partito da Tolone. Effettivamente alcuni rottami del velivolo vennero poi rinvenuti in quella zona, ma non furono collegati a Ustica. Le ricerche sul fondale, che vennero svolte anni dopo, individuarono, nella zona dove erano affondati alcuni rottami del velivolo, un serbatoio che, si disse all’epoca, non era ricollegabile a quanto accaduto nei cieli di Ustica.

Il pm Giovannini all’epoca inviò il verbale dell’interrogatorio al giudice Priore (che seguiva l’inchiesta su Ustica) e Savi fu sentito da Giovannini e Priore, a Roma: disse che Gugliotta era pazzo. La circostanza del coinvolgimento di uno o più aerei da guerra francesi assunse evidenza solo nel 2008, con le dichiarazioni dell’ex presidente Cossiga che portarono alla riapertura delle indagini dei pm romani sulla Strage. Secondo gli avvocati Gamberini e Moser, anche quando si confidava con l’amico e complice Gugliotta, Roberto Savi, così come “in tutte le sue dichiarazioni nel corso delle indagini e del processo, mescolava all’evidenza millanterie e circostanze vere, utilizzando sapientemente la tecnica dei messaggi trasversali e delle dichiarazioni ambigue”.

Questo elemento, sottolineano, non può essere accantonato in un’indagine, come quella sollecitata dall’esposto, “che voglia ridefinire il perimento (all’evidenza troppo stretto) nel quale il fenomeno criminale della Uno Bianca è stato collocato dagli esiti giudiziari. Si tratta “di un ulteriore prezioso tassello ricostruttivo di un percorso investigativo che, nell’auspicio dei familiari delle vittime della Uno bianca da noi rappresentati, non potrà che ridefinire l’orizzonte narrativo criminale ed investigativo all’interno del quale quei delitti sono stati commessi“, concludono.

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