“Sono salvo grazie a un martello”: sono le parole di Andrea Girardin Gibin, caposquadra del gruppo di cinque operai deceduti nell’incidente di Brandizzo la sera del 30 agosto, indagato insieme ad un collega per per omicidio plurimo e disastro ferroviario con dolo eventuale. Dalle sue parole emerge la consapevolezza di essere andati tanto vicini alla morte ed essere salvi solo grazie ad un puro caso, una fatalità. “Stavamo lavorando sui binari. Uno dei ragazzi mi ha chiesto di passargli un martello. Così mi sono sollevato e ho fatto due passi. È stato in quel momento che ho visto i fari del treno, d’istinto sono saltato sull’altro binario” ha raccontato al Corriere della Sera Gibin.

Al momento i magistrati della procura di Ivrea che stanno conducendo le indagini sul caso, Valentina Bossi e Giulia Nicodemi, non hanno ancora avuto modo di interrogare i due indagati perché intendono prima avere un quadro completo della situazione per poi procedere a sentire le persone coinvolte. Il loro scopo è fare chiarezza sulle responsabilità e ricercare cosa non ha funzionato nella macchina comunicativa quella sera e per farlo, passeranno anche al vaglio alcuni telefoni e apparecchi tecnologici in dotazione alle persone coinvolte. Come i macchinisti che erano sul convoglio che ha travolto e ucciso i cinque operai, che hanno dichiarato che al passaggio il semaforo era “verde” e non erano segnalati “lavori sui binari” e gli smartphone di due operai morti che, seppur non in buone condizioni, sono utilizzabili e la Polfer li ha rinvenuti sui binari. L’altro indagato è invece Antonio Massa, il tecnico di Rfi che faceva da “scorta” alla sua squadra Sigifer e che quella sera diede il via libera al cantiere nonostante per tre volte la dirigente movimento in servizio a Chivasso Vincenza Repaci gli avesse chiaramente al telefono detto che la linea non era bloccata e dovesse “passare ancora un treno”.

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