“Ci aveva abituati bene, con continue risurrezioni, non solo in senso clinico”. E poi: “Chi gli sta vicino fino all’ultimo sa che Silvio Berlusconi teme la morte, ma non l’aspetta”. E ancora: “Tutti ricorderemo dove eravamo e cosa stavamo facendo quando abbiamo saputo, e sono cose che si possono dire di pochi istanti della vita repubblicana“. Non è Il Giornale di famiglia, rencentemente ceduto agli Angelucci. E neanche Libero del fidato Alessandro Sallusti. A fare quella che è una sorta di agiografia di Silvio Berlusconi nel day after della morte è il Corriere della Sera.

È il primo giornale italiano, il più autorevole, il quotidiano che fu di Indro Montanelli e di Enzo Biagi. Nei passaggi chiave negli anni del berlusconismo dilagante la redazione di via Solferino ha rappresentato una sorta di avamposto su alcune questioni cruciali: fu il Corriere di Paolo Mieli a riaprire le porte a Montanelli, cacciato dal Giornale per non aver voluto appoggiare la discesa in campo dell’uomo di Arcore. E fu sempre quel quotidiano a pubblicare lo scoop sull’avviso a comparire recapitato all’allora premier nel 1994 per l’indagine sulle tangenti alla Guardia di Finanza. Lo stesso avvenne con Ferruccio de Bortoli, che attaccò fermamente il governo delle leggi ad personam. Altri tempi. Oggi, infatti, il quotidiano di Urbano Cairo, ex assistente di Berlusconi, dedica al capo di Forza Italia una sorta di agiografia. Sono trentatré pagine con più di trenta articoli firmati dai giornalisti di punta di via Solferino, che si aprono con questa prima: “L’Italia senza Berlusconi“. Da lì cominciano una serie di titoli da apologia: “Così il ciclone Silvio ha cambiato l’Italia“, “I tanti attriti nelle salite al Colle”, “Non creò solo un gruppo, trasformò l’economia“, “Il cumenda che spiegò Dio al Papa“. E poi l’immancabile intervista all’editore Cairo: “Lo incontrai a 24 anni, fu una specie di magia”.

Processi e questioni giudiziarie sono confinate a pagina 26, la questione dei rapporti con Cosa nostra in un piccolo box in basso, che fa cenno all’ultima indagine sulle stragi del 1993 e alla condanna definitiva per concorso esterno di Marcello Dell’Utri, suo storico braccio destro. Piccolo accenno anche all’intervista al professor Franco Coppi, suo ultimo avvocato (“Le accuse che gli hanno mosso in realtà non sono state proprio banali. Da ultimo sui rapporti torbidi con la mafia stragista“. Risposta: “Sì però fino ad adesso mi pare ne fosse uscito bene”) e in un pezzo sulla sua stagione di potere a pagina 6 (“Il sospetto di collusione con la mafia che ha portato uno dei suoi più grandi amici e compagni d’arme, Marcello Dell’Utri, alla condanna e al carcere; o addirittura l’accusa di aver ordito le stragi del 1993 per accelerare il proprio trionfo politico”). In generale negli articoli compaiono anche elementi negativi (Si ammette ammette che “naturalmente l’uomo non era per niente uno stinco di santo, anzi: aveva i suoi vizi privati e pubblici e sapeva come giocare sporco”) ma quelli positivi o agiografici sono in netta maggioranza: “Imprenditore di successo, inventore della televisione privata, presidente più vincente del calcio italiano e non solo di quello, il fondatore di Forza Italia nonché il presidente del Consiglio che più a lungo ha guidato il Paese durante la Seconda repubblica, è in ogni caso arrivata inattesa”. E poi: “L’ unica cosa che non è riuscito a fare durante i suoi 86 anni di vita esagerata, è stata l’ultima. ‘Questa è la mia casa’ ripeteva ai dirigenti Fininvest ai quali mostrava le meraviglie della villa di Arcore. ‘È qui che voglio andarmene quando arriverà il momento, è qui che voglio essere seppellito con i miei amici e la mia famiglia”. E ancora: “La morte di un personaggio così larger than life , come scrivono i media internazionali, che poi significa straordinario, fuori dal comune, è una questione che non riguarda solo noi”. E pazienza se in realtà i giornali esteri parlano soprattutto di scandali sessuali e accuse di corruzione.

Un tributo viene riconosciuto anche per il presunto stile con cui avrebbe accettato di dimettersi nel 2011. Una decisione arrivata, secondo il Corriere, dopo aver ricevuto due telefonate: “La prima è di Ennio Doris, amico e antico socio in Mediolanum: Silvio, se non ti dimetti l’Italia crolla. La seconda è del figlio Luigi, che lavora nella City a Londra: Papà, se l’Italia crolla crollano anche le nostre aziende. Così il ‘Cavaliere nero’, il Caimano che nel film interpretato da Nanni Moretti alla fine sobilla la rivolta popolare pur di non cedere il potere, si dimette accettando la logica inesorabile della politica democratica”. Pure il passo indietro, dunque, fu fatto per salvaguardare il portafoglio. Alla fine da via Solferino arrivano le scuse sui social. No, non per l’apologia che il quotidiano di Montanelli e Biagi ha riservato all’uomo di Arcore. Sul profilo Twitter del Corriere si fa notare come sull’edizione di oggi siano stati pubblicati oltre 300 necrologi di Berlusconi. Ma c’è un problema: “Non sono stati pubblicati tutti, i necrologi che mancano saranno pubblicati sul giornale di domani”.

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