Via la frase che parlava di “ostacoli difficilmente superabili nel breve periodo a causa della mancanza di risorse umane e della carenza di competenze gestionali e tecniche”. Eliminato il paragrafo che spiegava come dai dati emergano ritardi ed elementi di debolezza nella capacità delle amministrazioni e dei soggetti attuatori di realizzare concretamente gli investimenti programmati”. Sbianchettati sia il passaggio sullo sforzo aggiuntivo richiesto ai piccoli Comuni sia quello sul rischio che le assunzioni a termine “compromettano in maniera irrimediabile il prosieguo dell’attuazione del piano”. Ora che il governo ha depositato la sua relazione sullo stato di attuazione del Pnrr, si scopre come mai sia passata una settimana tra la presentazione dello schema del testo in cabina di regia e l’invio al Parlamento. Il documento è stato depurato dalle parti sgradite agli enti locali – come chiesto pubblicamente dal presidente dell’Anci Antonio Decaro – e arricchito di elogi ai sindaci e soprattutto al decreto Pnrr e al decreto Pa, per rivendicare come abbiano “favorito l’azione delle amministrazioni” e “ampliato la capacità di reclutare le risorse necessarie”.

La prima versione del capitolo su “Capacità amministrativa dei soggetti attuatori e criticità organizzative e di rendicontazione” aveva in effetti poco riguardo nel mettere il dito nella piaga del deficit di capacità amministrativa che è uno dei peccati originali del piano. E che – non per loro responsabilità – riguarda soprattutto gli enti territoriali, chiamati a gestire ben 43 miliardi di risorse europee solo per la realizzazione di lavori pubblici. Da anni sottodimensionati, i piccoli Comuni non sono stati messi in condizione di affrontare l’onda d’urto dei bandi del Recovery e hanno cercato di cavarsela da soli o ricorrendo a consulenti. La bozza di relazione datata 31 maggio definiva non a caso “emblematico” l’incremento delle spese consulenziali sostenute dagli enti nella fase di progettazione degli interventi: +22,5% nel biennio 2021-2022, come rilevato dalla Corte dei conti. Un dato scomparso nel testo definitivo del 7 giugno, che edulcora i problemi di risorse umane e competenze derubricandoli a “profili di attenzione” e soprattutto sottolinea come il decreto 13/2023 migliori la capacità di reclutamento dei Comuni.

Ma il passaggio che più aveva fatto storcere il naso a Decaro era un altro: quello che avvertiva, sempre in base a dati della magistratura contabile, che per realizzare gli investimenti del Piano i Comuni sotto i 10mila abitanti dovrebbero aumentare di oltre il 60% la spesa rispetto all’andamento storico registrato tra 2017 e 2020. Il sindaco di Bari in un’intervista a Repubblica il 5 giugno ne ha auspicato esplicitamente lo stralcio dicendo di averne parlato con il ministro Raffaele Fitto. Ed è stato accontentato. Non solo: dalla relazione è stato fatto sparire anche il successivo commento stando al quale l’impatto stimato e lo sforzo aggiuntivo richiesto “sollevano numerose criticità in termini di realizzazione dei progetti” visto “l’impatto stimato e lo sforzo aggiuntivo richiesto ai Comuni” nei prossimi anni. Ora al posto di quella frase compare un riconoscimento all'”intenso impegno” delle amministrazioni locali che hanno, si legge, contribuito “in maniera significativa ai risultati finora raggiunti”. Complici ovviamente “le misure di semplificazione introdotte per facilitare l’attuazione del Piano, da ultimo con il decreto-legge n. 13/2023 e il decreto-legge n. 44/2023”.

In parallelo però è stata fatta sparire anche la nota che linkava a una lettera dell’Anci allo stesso Fitto, al titolare dell’Economia Giancarlo Giorgetti e al ragioniere dello Stato Biagio Mazzotta in cui si sollevavano varie critiche sul funzionamento del sistema di rendicontazione Regis. Durante i sette giorni di lavorio sul documento lo staff di Fitto ha poi espunto la parte relativa alla selezione dei progetti, in cui si riconosceva che “alla efficienza nella fase di avvio non è sempre seguita una selezione utile dei progetti in quanto in molti casi i criteri di valutazione non hanno portato ad individuare i bisogni e, soprattutto, i criteri premiali non hanno consentito di finanziare interventi nelle aree in cui si registrano le maggiori debolezze settoriali connesse alle singole misure”. E si aggiungeva che “non è stata opportunamente valutata la capacità effettiva dei singoli Soggetti attuatori di realizzare gli interventi”. Rilievi che si riferivano a scelte fatte sotto l’esecutivo Draghi ma sarebbero comunque risultati imbarazzanti per le burocrazie centrali e periferiche in questa fase delicata di revisione del piano.

La proposta di rimodulazione va inviata a Bruxelles “il prima possibile“, ha ribadito a questo proposito giovedì il commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni, a SkyTg24. Visti i tempi tecnici per l’esame, più si va avanti più si rischia di dover attendere il via libera fino al prossimo anno senza ricevere dunque le rate previste per il 2023. Nel frattempo lo sblocco della terza tranche di fondi, legata agli obiettivi del secondo semestre 2022, si fa ancora attendere. La relazione assicura che la valutazione è “in via di completamento” dopo “gli approfondimenti che si sono resi necessari, nelle interazioni con la Commissione, per alcune scadenze”. La prossima settimana è prevista una missione dei tecnici della Commissione a Roma sul Piano.

Riceviamo dal ministro Raffaele Fitto e pubblichiamo:
“Leggo di discrepanze, dati sballati e divergenze tra due versioni della III Relazione sul Pnrr, e di presunte sbianchettature tra la versione presentata in Parlamento e quella che sarebbe disponibile sul sito del Dipartimento Politiche Europee. Peccato che quest’ultima fosse solo una presentazione con una scheda tecnica di sintesi, priva di qualunque cifra di dettaglio. A meno che non si possa indicare un link del suddetto sito dove poter consultare la fantomatica prima versione che sarebbe stata pubblicata. La III Relazione è stata presentata nella seduta della Cabina di regia, durante la quale ho richiesto a ciascuna Amministrazione i contributi specifici relativi alle materie di propria competenza. Alcune Amministrazioni hanno segnalato alcuni aspetti direttamente nel corso della riunione, altre, invece, hanno inviato contributi successivamente. Si tratta di aggiornamenti di natura tecnico-istituzionale che non hanno modificato i contenuti della Relazione relativa allo stato di attuazione del Piano. Gli aggiornamenti, quindi, sono in linea con una precisa scelta di metodo, richiamata anche nella Relazione, che ha visto rafforzata la Cabina di regia PNRR e il dialogo con tutte le Amministrazioni responsabili per verificare il rispetto dei termini previsti ed effettuare una ricognizione puntuale e dettagliata dello stato di attuazione del Piano. Il Governo, quindi, non sbianchetta, e non contraddice se stesso, semmai chi scrive senza prima le dovute verifiche”.

Risponde Chiara Brusini:
Ilfattoquotidiano.it non ha scritto di differenze tra “la versione presentata in Parlamento e quella che sarebbe disponibile sul sito del Dipartimento Politiche Europee”, bensì tra quella portata in Cabina di regia il 31 maggio e quella inviata alle Camere l’8 giugno. Nella seconda sono state eliminate numerose frasi relative alle difficoltà amministrative degli enti locali nella gestione dei fondi. Il ministro conferma del resto che ci sono stati “aggiornamenti” in seguito a segnalazioni arrivate dalle amministrazioni che siedono in Cabina di regia, tra le quali c’è anche l’Anci.

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