Madeleine: una data, un ricordo, un personaggio – La rubrica del venerdì de ilfattoquotidiano.it: tra cronaca e racconto, i fatti più o meno indimenticabili delle domeniche sportive degli italiani

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C’è la bellezza del rimpianto in quel gol. Sì, perché anche il rimpianto ha un fascino: immaginare che in un altro mondo, in un’altra vita, in un’altra maniera la storia sarebbe stata differente, migliore, gloriosa. Chissà, magari sarebbe stato proprio così se quel gol molto bello Joubert Araujo Martins detto Beto l’avesse fatto in una gara tra Vicenza e Napoli di tre giorni prima, in finale di Coppa Italia e non nell’ultima, inutile gara di campionato. Ultima gara prima del disastro, della stagione 1997/98 che avrebbe dato il via agli anni peggiori della storia del Napoli, tra retrocessione in B e fallimento. Ma le ambizioni erano diverse: nell’estate ’96 Corrado Ferlaino era riuscito a trattenere i migliori, come Alain Boghossian, Andrè Cruz, Fabio Pecchia, Roberto Ayala grazie ai soldi incassati dalle cessioni di Renato Buso alla Lazio e di Massimo Tarantino all’Inter. Chiaramente per una squadra indebitata il mercato in entrata non è da fuochi d’artificio: la scommessa Alfredo Aglietti dalla Reggina, Nicola Caccia dal Piacenza assieme a Ciccio Turrini, Bertrand Crasson a parametro zero dall’Anderlecht, Caio in prestito dall’Inter.

C’è spazio per un colpo, e l’ingegnere guarda al suo territorio di caccia preferito, il Sud America: il sogno sarebbe Burrito Ortega, ma costa troppo, piace anche Leonardo Astrada sempre del River, ma alla fine dall’Argentina si passa al Brasile. Nel Botafogo c’è un centrocampista di qualità, che calcia con entrambi i piedi ed è nel giro della nazionale di Zagallo. Carioca puro, Joubert giocava in una scuola calcio che si chiamava Dom Bosco: in un torneo giovanile lo nota il Botafogo, e la Dom Bosco chiede in cambio non soldi, ma cinquanta paia di scarpette da calcio. “Facciamo quaranta” e l’affare si chiude: i soldi per le scarpe saranno scalati dagli stipendi del giovane Joubert Araujo. Il nome piace, ha anche un alone di buon auspicio: Beto era l’adorato cugino di Diego Maradona, quello che col primo stipendio regalò il primo pallone al piccolo Pibe, a occhio facendo contento il bambino e tutto il resto dell’umanità. Per sei miliardi di lire Beto passa al Napoli e dopo un’estate travagliata, in cui partecipa anche alla Gold Cup, arriva alla corte di Gigi Simoni. In ritardo di condizione lo si vede, molto appesantito, all’esordio contro il Parma di Ancelotti: il risultato è 3 a 0 per i ducali, Beto oltre a qualche conclusione dalla distanza e qualche dribbling forzato non mostra.

Poi arriva Sampdoria-Napoili alla quarta di campionato: i doriani con una formazione stellare, da Mihajlovic a Veron, da Mancini a Montella passando per Karembeu, sprecano, e al 73esimo il brasiliano del Napoli, col 10 sulle spalle, sulla trequarti fulmina con un tunnel Mannini, con un tocco mette fuori causa un secondo avversario e spara un sinistro sotto l’incrocio che lascia immobile Ferron. È un capolavoro, e i napoletani sognano: il problema è che Beto alterna colpi a saudade, allenamenti a serate nei night napoletani (per la verità queste ultime ben poco alternate) e se la squadra di Gigi Simoni arriva addirittura al secondo posto a dicembre lo si deva ai più continui compagni Cruz, Boghossian, Pecchia, Milanese, Aglietti. In un paio di casi Beto scappa in Brasile senza permesso, con la società costretta a multarlo. Intanto il Napoli grazie a una gara quasi eroica in nove uomini è riuscito a superare la Lazio nel ritorno dei quarti di finale di Coppa Italia e la semifinale d’andata in casa dell’Inter si è risolta in un 1 a 1, con Andrè Cruz che con la solita punizione capolavoro aveva risposto a Ivan Zamorano. Nella gara di ritorno Javier Zanetti aveva trovato il vantaggio nel San Paolo strapieno, col Napoli che non riusciva a trovare il gol del pareggio pur attaccando contro l’Inter in 10 per l’espulsione di Ganz: poi proprio Beto riesce a penetrare nella difesa nerazzurra, concludendo con un tunnel a Pagliuca. È ancora una volta l’eroe del momento, visto che ai rigori il Napoli conquista la finale.

Intanto però deve operarsi al ginocchio e star fuori un mese. Durante questa assenza Gigi Simoni firma con l’Inter per l’anno successivo: Ferlaino non la prende bene, e caccia il mister affidando la squadra ad Enzo Montefusco. Dopo la solita fuga in Brasile post operazione Beto rientra, ma Montefusco lo relega in panchina nella finale d’andata contro il Vicenza: il Napoli vincerà 1 a 0 con gol di Pecchia. Al ritorno è di nuovo panchina: il Vicenza pareggia subito il vantaggio guadagnato dal Napoli al San Paolo con Maini: gli azzurri riescono tuttavia a portarla ai supplementari, con Caccia che viene espulso per una gomitata. In panchina Beto è il calciatore di maggior talento, ma con l’unica sostituzione a disposizione gli viene preferito il giovanissimo Panarelli. Il Vicenza ne segna due e vince la Coppa e il brasiliano viene inquadrato in lacrime in panchina dalle telecamere Rai. Nell’estate successiva Mutti vorrebbe puntarci, ma il Gremio offre 8 miliardi di lire: qualcuno racconta che l’offerta fosse più bassa e che prevedesse come contropartita tecnica un 17enne, Ronaldo de Assis Moreira che sarebbe diventato famoso come Ronaldinho, ma di fatto arriveranno solo soldi, poi reinvestiti per Josè Luis Calderon.

Beto alternerà stagioni in Brasile, quasi tutte buone, con le maglie di tutte le migliori squadre, dal Flamengo al San Paolo, dalla Fluminense al Vasco Da Gama e due parentesi in Giappone, al Sanfrecce e al Sapporo. Fu parte anche di quella nazionale meravigliosa che nel 1999 vinse la Copa America in Paraguay: con Ronaldo il Fenomeno, Rivaldo, Ronaldinho, Cafu, Emerson, Roberto Carlos c’era anche lui, e scese in campo in 3 partite su sei dei verdeoro. Tre anni fa suo figlio è stato purtroppo ucciso in uno scontro a fuoco a Rio, lui invece si occupa di organizzare feste assieme alla moglie: d’altronde calcio e feste sono sempre state la sua passione, non esattamente in questo ordine.

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