Madeleine: una data, un ricordo, un personaggio – La rubrica del venerdì de ilfattoquotidiano.it: tra cronaca e racconto, i fatti più o meno indimenticabili delle domeniche sportive degli italiani

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Due gol subiti, un gol fatto e il terzultimo posto in classifica sfumato di rosso che dice “retrocessione in C diretta e sul campo”. A rivederli oggi quei due gol presi a Palermo viene da ridere: un minuto dopo l’inizio della gara Di Donato trotterella tra i difensori senza resistenza, con Pippo Maniero che manda dentro la respinta corta di Manitta, e poco dopo Antonino Asta, che è stata una delle migliori ali italiane senza crederci troppo, si inventa un gol incredibile ancora però senza troppa resistenza. Di Stellone il gol della bandiera per un Napoli disperato: senza soldi, senza talento e senza un sacco di altre cose, che il 3 maggio 2003 sembrava ormai retrocesso in Serie C. Già, quel Napoli che oggi vince lo Scudetto devastando il campionato italiano e che arriva al punto più alto della sua storia europea, i quarti di Champions, vent’anni fa era praticamente retrocesso in C sul campo.

C’era Salvatore Naldi al timone, ormai solo dopo gli addii di Corrado Ferlaino e di Giorgio Corbelli, in una società piena di debiti (circa 70 milioni di euro…passività che oggi sarebbe ritenuta quasi risibile). L’estate si fa cassa con la cessione di Marek Jankulovski all’Udinese e si prova ad allestire una rosa dignitosa per Franco Colomba. L’anno prima il Napoli di De Canio aveva sfiorato la Serie A, arrivando quinto in classifica, l’obiettivo è riprovarci, anche se con il solo Davide Dionigi come colpo in ingresso pare difficile. E infatti l’annata è tragica: a dicembre il Napoli è penultimo. Colomba viene esonerato e arriva il professore Franco Scoglio, intanto a gennaio si allestisce un mercato con i prestiti di chi non trova spazio in Serie A: Maurizio D’Angelo da Chievo, Alberto Savino dal Lecce, Gonzalo Martinez dall’Udinese, Ciccio Montervino dall’Ancona, Dario Marcolin dal Piacenza e Rubens Pasino dal Modena.

L’Inter invece rifiuta il prestito di Nicola Beati e il professore oppone dichiarazioni bellicose: “Quando sarò in A col mio Napoli gli faremo vedere”. Ma la A è un miraggio, la B una comfort zone desiderabile, la C un incubo più reale che onirico. E infatti cambia poco anche con Scoglio e in una situazione disperata viene richiamato Franco Colomba, vengono introdotti i mini abbonamenti per riempire il San Paolo: 80 euro per una decina di gare, e biglietti per le partite a volte anche a 1 o 2 euro. Il Napoli galleggia sempre tra la ultime posizioni, al netto di qualche vittoria praticamente ottenuta con la voce dai 70mila del San Paolo, vanificata da prestazioni da brivido in trasferta.

Dionigi, Vidigal, Montezine, Roberto Stellone provano a tener su la barchetta azzurra che fa acqua da tutte le parti. E per la verità una certa benevolenza sembra arrivare anche dal fronte arbitrale: Palermo segna il punto più basso e una retrocessione che pare ormai inevitabile, ma arrivano quattro rigori in tre partite, che valgono sei punti. L’ultima in casa contro la Ternana vale la salvezza, segna Vidigal, ma i tifosi, ancora una volta in 60mila sugli spalti, avvertono con uno striscione: “Canaglie, non azzardatevi a gioire, chinate il capo e andatevene”. Non avrebbero gioito, né allora, né dopo l’anonimo campionato seguente sotto la guida di Andrea Agostinelli prima, e del compianto Gigi Simoni poi. Campionato che vale una salvezza tranquilla, ma che non evita la serie C per il fallimento che arriverà ad agosto 2004.

Vent’anni dopo invece la gioia può essere liberata, la difesa azzurra è tutt’altra cosa rispetto a quella che si faceva scherzare da Di Donato, Asta e chissà quanti altri, e il Maradona si riempie per festeggiare uno scudetto e non per sudare un punticino a salvarsi dalla C sul campo.

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Il nuovo Capodanno di Napoli per uno scudetto democratico

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