di Leonardo Botta

Tommaso Padoa-Schioppa, intervistato nel 2007 da Lucia Annunziata, ebbe a dire: “La polemica anti-tasse è assolutamente irresponsabile. Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima, un modo civilissimo di contribuire a servizi indispensabili come la salute e la scuola. Poi ci può essere un’insoddisfazione sulla qualità dei servizi ma non una contrarietà di principio sulle tasse”.

Per quell’affermazione pregna di buon senso, direi quasi banale, il compianto ex ministro del governo Prodi II fu sbeffeggiato per mesi dagli avversari politici. Sempre coerenti con la loro narrazione liberista – secondo la quale lo stato non avrebbe dovuto mettere le mani nelle tasche degli italiani – Berlusconi, i suoi sodali del Popolo delle Libertà e gli alleati centristi e della Lega ebbero poi gioco facile a spuntarla alle successive elezioni politiche, che consegnarono loro una maggioranza bulgara in Parlamento; evidentemente il mantra del “meno tasse per tutti” funzionò molto bene nelle urne, accompagnato dal programma di riduzione del numero aliquote fiscali in sole tre.

Ciò che accadde nei successivi anni è storia: non solo Berlusconi non riuscì a far calare la pressione fiscale, non solo non attuò mai la riduzione del numero di aliquote (salvo piagnucolare che “gli altri non me l’hanno lasciato fare”), ma ricordiamo tutti i drammatici giorni dell’autunno 2011, con lo spread giunto a 575 punti base, per colpa di un governo e di un presidente del Consiglio così inaffidabili da finire sotto i colpi degli speculatori finanziari internazionali; così come ricordiamo la fuga del premier di sera da Palazzo Chigi, quasi come un ladro.

La storia un po’ si ripete: qualche giorno fa la presidente Meloni annunciava lotta dura contro l’evasione fiscale delle grandi compagnie e delle banche ma, sottolineava, non contro il piccolo commerciante “al quale vai a chiedere il pizzo di Stato perché devi fare caccia al gettito più che lotta all’evasione”. Come se la caccia al gettito non serva (o dovrebbe servire) a finanziare servizi essenziali per i cittadini italiani; o come se il governo avesse già dimenticato il suo rapporto del novembre scorso, secondo il quale le grandi società hanno evaso imposte per nove miliardi, le piccole partite Iva per trentadue.

E bene ha replicato, alla Meloni, Pierluigi Bersani che provocatoriamente suggeriva, a questo punto, di eliminare anche il sostituto d’imposta per i lavoratori dipendenti, sicché si possano allineare anch’essi al livello di evasione delle altre categorie.

Intanto, per quegli sconcertanti sberleffi, nessuno a Padoa-Schioppa – riposi in pace – ha mai chiesto scusa.

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