La tensione interetnica in Kosovo resta alta, dopo una notte trascorsa tranquilla e senza eccessi da mercoledì mattina alcune migliaia di manifestanti serbi sono tornati a radunarsi fino al tardo pomeriggio di mercoledì e in maniera pacifica davanti alla sede del municipio a Zvecan, uno dei quattro maggiori Comuni del nord a maggioranza serba, ribadendo le richieste alla dirigenza di Pristina: ritiro delle unità di polizia dal nord del Kosovo a maggioranza serba e rinuncia dei nuovi sindaci di etnia albanese a insediarsi nelle sedi municipali dei Comuni serbi del nord. Tali sindaci sono ritenuti illegittimi essendo stati eletti in una consultazione che, per il boicottaggio dei serbi, ha fatto registrare una affluenza di appena il 3%. E non si accetta che sindaci rappresentanti il 2% degli abitanti albanesi vadano a governare città la cui popolazione è al 98% costituita da serbi. Una posizione condivisa anche dagli Usa che, dopo aver minacciato ripercussioni nei confronti del Kosovo, ha espulso il Paese da un’esercitazione Nato. Tanto che il premier Albin Kurti ha dovuto ammorbidire le sue posizioni: “Valuterò nuove elezioni al nord se finiscono le proteste”.

I dimostranti a Zvecan – riferiscono i media a Belgrado – hanno dispiegato stamane una enorme bandiera serba di 250 metri, e con altoparlanti vengono diffuse musiche patriottiche e canzoni tradizionali serbe. Sul posto è massiccia la presenza di polizia kosovara e truppe della Kfor, a presidio della sede del Comune, che è stato isolato da recinzioni e da una barriera di filo spinato. Forte la presenza di forze dell’ordine e di militari Nato anche intorno ai Municipi di Zubin Potok e Leposavic, altri due Comuni a maggioranza serba. A Leposavic gruppi di dimostranti hanno presidiato per tutta la notte la sede del Comune, dove il nuovo sindaco albanese è rimasto per ragioni di sicurezza. Le proteste di questi giorni non riguardano la municipalità del settore nord (serbo) di Mitrovica, il cui nuovo sindaco non è di etnia albanese ma bosniaca, e che è stato accettato dagli abitanti serbi della città.

Le reazioni di Mosca e Washington – L’Alto rappresentante della Ue Josep Borrell, dopo l’incontro a Bratislava con il primo ministro kosovaro Albin Kurti “per discutere delle tensioni nel nord del Kosovo“, ha dichiarato che nel Paese “la situazione attuale è pericolosa e insostenibile. Abbiamo bisogno di una de-escalation urgente e di una soluzione attraverso il dialogo per tornare a lavorare sull’attuazione dell’accordo raggiunto”. Se la preoccupazione di Bruxelles è palpabile, dalla Russia il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ribadisce che Mosca sostiene “incondizionatamente” la Serbia, “segue molto da vicino gli sviluppi della situazione” in Kosovo ed è “preoccupata”. “Tutti i legittimi interessi dei serbi del Kosovo devono essere rispettati e non ci deve essere posto per azioni provocatorie che violino i loro diritti”, ha aggiunto Peskov. Ieri Mosca aveva attaccato l’Alleanza Atlantica per la sua presenza nel nord del Kosovo e la gestione delle tensioni degli ultimi giorni, dove manifestanti serbi protestano contro l’insediamento nei loro uffici dei nuovi sindaci di etnia albanese eletti nel voto locale del 23 aprile scorso e durante le quali sono rimasti feriti oltre trenta militari della Kfor, le forze Nato sul territorio. Dagli Stati Uniti, anche il segretario di Stato americano Antony Blinken è tornato a commentare con preoccupazione la situazione di alta tensione, criticando la decisione della dirigenza kosovara di garantire con la forza l’acceso alle sedi municipali dei Comuni serbi del nord del Kosovo. Un approccio questo, a suo dire, che contribuisce inutilmente ad accrescere le tensioni.

Citato dai media serbi, Blinken ha lanciato un nuovo appello alle parti ad adottare misure urgenti per allentare le tensioni. “Il premier Albin Kurti e il suo governo devono fare in modo che i nuovi sindaci espletino temporaneamente la loro attività di servizio da sedi alternative fuori dagli edifici comunali, e che vengano ritirate le forze di polizia presenti nella zona”, ha detto Blinken. Il segretario di stato ha chiesto al tempo stesso al presidente serbo Aleksandar Vucic e al governo di Belgrado di ridurre lo stato di allerta delle Forze armate e di chiedere ai serbi del Kosovo di cessare le provocazioni e gli attacchi alle truppe Kfor, evitando altre azioni di violenza. Belgrado e Pristina, ha aggiunto, devono tornare al più presto al dialogo sotto l’egida Ue per la normalizzazione dei loro rapporti.

Più dura la posizione dell’ambasciatore americano a Belgrado, Christopher Hill, che ha accusato la dirigenza kosovara di non aver dato ascolto ai consigli di Washington e che di questo Pristina subirà le conseguenze, con inevitabili ripercussioni sui rapporti tra Kosovo e Stati Uniti. “Il nostro segretario di stato Antony Blinken ha detto chiaramente di opporsi a tutte le azioni intraprese dal premier Albin Kurti, che sono in contrasto con tutti consigli che noi abbiamo dato. E Blinken ha detto che tutto ciò avrà delle conseguenze”. Che non sono tardate ad arrivare: gli Stati Uniti hanno infatti espulso il Kosovo da un’esercitazione militare Nato a guida americana, Defender 23, in corso da aprile a giugno in Europa con la partecipazione di una ventina di Paesi alleati, come annunciato dall’ambasciatore Usa a Pristina, Jeffrey Hovenier. “Per il Kosovo questa esercitazione è finita”.

Così, il premier Kurti ha fatto marcia indietro: “Se fosse stata una protesta pacifica, avrebbe avuto la mia comprensione, ma non una manifestazione folle con la lettera Z (simbolo filorusso, ndr), dove sparano a soldati e poliziotti, lanciano granate gridando ‘uccidi, uccidi’. A questa folla fascista non cediamo la nostra Repubblica democratica. Se protestano pacificamente per chiedere elezioni anticipate, hanno un primo ministro che è più che disposto ad ascoltarli e forse è d’accordo con loro”. E ha poi commentato la reazione americana: “Abbiamo una leggera differenza di approccio. Pensare a sanzioni contro il Kosovo sembra sproporzionato e ingiusto”, ha affermato. “Sono rimasto sorpreso”, ha detto definendo quella degli Stati Uniti una “reazione eccessiva”.

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