La cosiddetta pista palestinese, da alcuni ambienti proposta per anni come la chiave della strage di Bologna del 2 agosto 1980, è del tutto “infondata” e gli argomenti più recenti usati per rilanciarla sono falsi. È la nota più rilevante emersa durante l’ultima udienza del processo d’appello contro l’ex Nar Gilberto Cavallini, tenuta nel capoluogo emiliano mercoledì 24 maggio: in aula ha fatto irruzione la memoria della procuratrice generale reggente Lucia Musti e del sostituto Nicola Proto, che, replicando alle argomentazioni delle difese, si soffermano, tra l’altro, sulla “incompletezza della documentazione” da loro prodotta. Il riferimento è agli ultimi documenti desecretati relativi al carteggio tra il responsabile del centro Sismi di Beirut, il colonnello Stefano Giovannone, e la direzione centrale dello stesso Sismi negli anni che vanno dal 1979 al 1981.

Le carte segrete – La faccenda sembra complicata ma in realtà è semplice. Queste carte erano già state messe a disposizione della Commissione d’inchiesta sull’assassinio di Aldo Moro istituita nella XVII legislatura, ma erano segrete: solo i parlamentari componenti dell’organismo potevano recarsi presso la sede del Dis, il dipartimento che coordina l’intelligence, leggerle e non farne parola con nessuno. Iniziò così un viavai di occhi interessati, o solo curiosi. A chi provava a chiedere commenti o solo impressioni, la gran parte dei parlamentari rispondeva storcendo la bocca, come a dire “niente di che“, mentre alcuni sostenevano che proprio lì, invece, c’era la verità sulla strage.

La tesi difensiva – Ora la difesa di Cavallini ripropone la “pista palestinese”, si legge nella memoria dei pg, “basandosi sulle deposizioni dei testimoni Giampaolo Pellizzaro, Carlo Giovanardi, Abu Sharif Bassam, Ilich Ramirez Sanchez, meglio noto come comandante Carlos”, e sul documento, contenuto in quel carteggio, che fa riferimento all’arresto del giordano Abu Anzeh Saleh, esponente del fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP). Era novembre del 1979 e Saleh era stato “beccato” con due lanciamissili terra-aria Strela di fabbricazione sovietica: proprio su quell’arresto si è sempre basata la “pista palestinese”, essendo avvenuto, a detta dei suoi sostenitori, in violazione del patto esistente tra Italia e la Resistenza palestinese, voluto anche dal Fronte popolare di Saleh, noto come “lodo Moro”, risalente alla prima metà degli anni ’70, in base al quale i Palestinesi si impegnavano a non compiere sul nostro territorio nessuna azione armata in cambio del sostegno politico alla loro causa e al nulla osta al transito di armi sul nostro territorio: un accordo politico basato su una certa visione del mondo e del Mediterraneo da parte di Moro e di altri esponenti democristiani, tra i quali Mariano Rumor.

Il “granchio” di Giovanardi – Ebbene, quel documento comunicava “l’ultimatum dei palestinesi a seguito del rigetto dell’istanza di scarcerazione di Abu Saleh” e minacciava “il dirottamento di un aereo dell’Alitalia o l’occupazione di un’ambasciata italiana in un Paese del Centro o Sud America”. Carlo Giovanardi, allora componente della Commissione Moro, letta con emozione quella carta nella sede del Dis, si appuntò il contenuto, datandolo 16 giugno 1980 e attribuendogli il catartico potere di spiegare la strage di Bologna e pure quella di Ustica del 27 giugno 1980: solo che l’ex senatore sbagliò data. Quella giusta scritta sul documento è il 15 giugno 1981, quando le due stragi avevano già insanguinato il nostro Paese, come spiega la memoria della Procura generale, secondo cui, in ogni caso, già l’analisi dei documenti riservati “antecedenti la strage del 2 agosto 1980 depone per l’inconsistenza della cosiddetta pista palestinese”. Nonostante la “svista” di Giovanardi, però, è proprio da quella carta che riprese fiato la “pista”, già a suo tempo sepolta da una lunga e dettagliata inchiesta della Procura di Bologna (2005) che si soffermò anche su Carlos e il suo gruppo “Separat”, accertandone la totale estraneità ai fatti.

Le incongruenze della “pista” – I pg ricordano che “Abu Saleh e gli altri imputati erano stati assolti in primo grado dal reato di importazione di armi da guerra e il giudizio d’appello non era sostanzialmente iniziato, come chiesto dal FPLP”, senza contare che “il Servizio era stato autorizzato a indennizzare il FPLP per il valore dei missili sequestrati”. E poiché “l’interlocuzione proseguì anche dopo il 2 agosto 1980“, questo “significa che non si verificò alcuna iniziativa del Fronte idonea ad interrompere la trattativa“, e lo stesso FPLP “certificò che nessuna “iniziativa” era stata intrapresa nei confronti dell’Italia dal 1973 fino tutto il 1981″. Dunque, chiosa la Procura generale, “la relazione adombrata nell’atto d’appello (di Gilberto Cavallini) con i fatti del 2 agosto 1980 è fuor di luogo e definitivamente superata dagli accadimenti e dalla corrispondenza intercorsa dopo la strage tra i vertici del FPLP e le autorità italiane”. Corrispondenza da cui emerge che “era forte l’interesse dei palestinesi a tenere aperto il dialogo con l’Italia, che, viceversa, avrebbe interrotto ogni trattativa o si sarebbe comportata in modo ben diverso se il FPLP, o anche qualche sua frangia estrema, si fossero resi responsabile della strage del 2 agosto 1980″.

Le conclusioni – Anche per quanto riguarda Ustica, i pg escludono che il FPLP possa essere responsabile della strage. I magistrati ricordano che “i palestinesi ottennero ciò che avevano chiesto, ossia il rinvio del procedimento a nuovo ruolo”, il che “esclude in radice che l’attentato al DC 9 possa essere in qualche modo connesso alla minaccia ritorsiva manifestata dal “Fronte”, che avrebbe insensatamente agito senza aspettare l’esito dell’ultimatum fatto recapitare a Giovannone il 26 giugno 1980, organizzando, peraltro, l’abbattimento dell’aereo in meno di 24 ore“. Non c’è logica in quella ricostruzione e quella documentazione delle difese “è del tutto parziale e non restituisce i reali accadimenti risalenti al periodo novembre 1979/settembre 1983”. Questa è l’impietosa conclusione della Procura generale, che manda all’aria l’eterno tentativo di vanificare le responsabilità neofasciste della strage del 2 agosto 1980.

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