Finalmente è arrivato! Questione di ore, al massimo di giorni: il tanto atteso scudetto è stato vinto meritatamente, con largo anticipo rispetto ai tempi medi degli ultimi anni. Una condizione psicologica ideale per il tifoso napoletano, che ha sicuramente “sofferto” meno dei tifosi delle squadre che hanno trionfato in precedenza, visto che a marzo si è ritrovato con 19 (!) punti di vantaggio sulle inseguitrici.

Una ragione in più per permettere a un popolo di programmare “l’evento”, di pianificare e organizzare la festa senza farsi particolarmente influenzare da blocchi scaramantici (ma lasciandosi “aiutare” da rituali apotropaici).

Un evento che produce sicuramente reddito. Perché il benessere e la felicità producono reddito. Non solo in termini di Pil (Prodotto Interno Lordo), la somma dei beni e servizi prodotti in un determinato periodo di tempo, un indicatore economico la cui crescita a Napoli sarà dovuta in primis allo sviluppo degli sponsor tecnici e dei fornitori ufficiali che hanno sede in regione e a quelle aziende che hanno legato o legheranno il loro marchio a un prodotto di successo come il Calcio Napoli. Pensiamo, però, anche all’effetto alone sul settore turismo: visitare Napoli, tra l’altro inserita dalla rivista americana Time tra le “capitali della bellezza” del 2023, avrà un motivo in più. E se infine consideriamo anche l’economia sommersa (locuzione con cui si indica qualsiasi attività economica avente la caratteristica di sfuggire all’osservazione statistica), allora inevitabilmente la ricchezza complessiva della città ne trarrà vantaggio.

Si dice, però, che “i soldi non fanno la felicità”. Solo un proverbio o c’è del vero? Come possiamo calcolare in maniera verosimile il livello di benessere delle persone tenendo conto sia della soddisfazione economica che di altri elementi? E poi la felicità è soggettiva, si sa. Riprendendo, in tal senso, i concetti di Daniel Kahneman, psicologo israeliano e Premio Nobel per l’Economia nel 2002, che ha messo in crisi il paradigma neoclassico del Pil, proponendo un approccio volto a misurare la felicità del cittadino e aprendo il nuovo capitolo dell’“Economia della Felicità”, in una comunità come quella di Napoli credo che occorra abbandonare il Pil come esclusivo parametro di riferimento della ricchezza e prendere in considerazione il suo accoppiamento alla Fil (Felicità Interna Lorda), in altri termini la valorizzazione dello stato di benessere provato dalla popolazione.

Gli studi tradizionali hanno lasciato finora intendere che le economie più sane, quelle cioè dove il piacere di viverci è più alto, sono quelle dove è più alto il Pil pro capite. Se fosse così, l’americano medio dovrebbe essere più soddisfatto della sua vita dell’europeo medio, il tedesco medio più soddisfatto dell’italiano medio, il sondriese medio più del napoletano medio, mentre il cinese e l’indiano medio dovrebbero essere fortemente demotivati per il loro modo di vivere. Il Bhutan, Paese fra i più poveri al mondo (escludendo i Paesi africani) e con un Pil pro capite bassissimo, dovrebbe avere quindi una popolazione costituita da infelici e frustrati. Ma chi lo ha visitato dice che non è così. Sembra che – pur se privo di automobili, di vestiti alla moda e, in alcuni casi, anche di luce elettrica – il bhutanese medio sia, malgrado tutto, contento e soddisfatto della sua vita.

Forse è la mancanza di modelli di riferimento (la televisione opera soltanto da una ventina di anni) o forse è una maggiore saggezza popolare legata ai criteri educativi e religiosi. Va comunque riconosciuto che la ricerca della felicità non è soltanto legata alla produzione e al possesso di beni (conseguenza di una maggiore capacità di acquisto e di circolazione della moneta), ma anche al modo in cui la ricchezza del Paese viene utilizzata.

Gli indicatori ci sono e sono sufficientemente affidabili per comprendere e misurare anche la qualità della vita di una popolazione e il suo benessere: la mortalità infantile, l’incidenza di diverse malattie, la speranza di vita, la qualità dell’aria, l’istruzione, la sicurezza. Ma ci sono alcuni parametri che risulta difficile oggettivare. Pensate alla ricchezza dei rapporti sociali oppure alla felicità come condizione mentale ed emotiva relativa alla percezione del piacere che include da un lato la gioia e dall’altra la contentezza; e al concetto chiave di sapersi sentire appagati con ciò che di buono (anche poco) abbiamo a disposizione. Tutti fattori che, nella mia città, sono amplificati da una combinazione di genetica e ambiente.

Come ha ripetuto Erri De Luca: “Nelle prossime statistiche (sulla qualità della vita) eliminate Napoli, è troppo fuori scala, esagerata, per poterla misurare”.

Effettivamente la felicità di una città che aspettava questo risultato da oltre 30 anni (ma che comunque riesce a manifestare anche con la vittoria di una “semplice” Coppa Italia) non è rilevabile da alcun edonometro (il dispositivo che misura la felicità nei vari Paesi del mondo). Oggi siamo i più ricchi (di felicità) del mondo. E questo, come riconosciuto nel mio ultimo libro (in uscita il 5 maggio) A scuola da De Laurentiis (Ultra Edizioni), anche grazie al presidentissimo.

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