Nei giorni passati mi sono chiesto a lungo quali motivi di ostilità si possano avere nei confronti della Resistenza e della Liberazione e mi sono fatto questo elenco:

1. Non si accetta la Resistenza perché si sarebbe desiderata una vittoria dei nazifascisti; in questo caso, dunque, si sarebbe voluto il successo del Nuovo Ordine Europeo, totalitario, razzista, concentrazionario e dedito allo sterminio di massa;

2. Non si accetta la Resistenza perché la ribellione contro la Repubblica Sociale Italiana è una sorta di tradimento nazionale; anche in questo caso, si sarebbe voluto il successo di uno Stato che sosteneva senza riserve il Nuovo Ordine Europeo;

3. Non si accetta la Resistenza perché gli atti resistenziali hanno condotto alle rappresaglie nazifasciste. Qui ci sono due considerazioni da fare: in primo luogo, argomentare in questo modo significa riconoscere legittimità ad azioni di rappresaglia, cioè ad azioni enormemente violente condotte non solo contro le formazioni partigiane, ma soprattutto contro la popolazione civile; in secondo luogo, un importante gruppo di ricerca ha mostrato che la maggioranza delle stragi (80% circa) non sono rappresaglie, ma sono stragi determinate da altre motivazioni (dal disprezzo nei confronti della popolazione italiana, all’intimidazione preventiva, all’intento punitivo): cfr. Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia;

4. Non si accetta la Resistenza perché è stata una operazione compiuta dai comunisti; affermazione non vera, perché le componenti del movimento resistenziale erano molte e politicamente varie. Si può obiettare che, comunque sia, le unità comuniste erano le più numerose e le più attive, e che puntavano a una rivoluzione di classe; il che è stato già chiarito, abbondantemente, da Claudio Pavone nel suo fondamentale libro Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati-Boringhieri, Torino 1991. A ciò si devono però aggiungere due considerazioni: in primo luogo, gli obiettivi rivoluzionari delle formazioni comuniste sono messi subito in secondo piano dalla linea strategica scelta da Togliatti con la svolta di Salerno; in secondo luogo, per tutto l’arco di tempo che va dal 1945 al 1991 il Pci è stato una delle forze fondamentali dell’arco costituzionale, partecipando lealmente al confronto e alla lotta democratica (a beneficio dei trolls: non sono, e non mai stato, comunista, in nessuna forma: non me ne vanto, ma è così);

5. Non si accetta la Resistenza per le violenze sommarie compiute dopo il 25 aprile 1945 contro fascisti o ex fascisti. Questa è sicuramente una pagina oscura della storia d’Italia, sebbene non meno oscura di quanto lo siano state le pagine connotate dalle violenze fasciste tra il 1919 e il 1922, o la stagione delle stragi nazifasciste compiute tra il 1943 e il 1945. Certo, un crimine non ne legittima un altro; ma si può capire il grado di risentimento accumulato, specie nelle zone in cui più numerose erano state le violenze nazifasciste (Toscana; Italia centrale; pianura padana). D’altro canto, occorre ricordare che violenze di questo tipo sono proprie di una situazione di anomia com’è quella che caratterizza le settimane e i mesi seguenti alla Liberazione anche in altri paesi, come per esempio la Francia;

6. Non si accetta la Resistenza perché si ritiene che i suoi frutti siano stati negativi; e qui, sinceramente, torniamo ai punti 1 e 2, giacché la Resistenza e la Liberazione hanno condotto alla costruzione di uno Stato repubblicano e democratico, e alla redazione e alla approvazione della Costituzione, un documento che ha garantito la libertà di espressione di tutti. Msi compreso.

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