Dopo lo stop di Polonia e Ungheria, è arrivato anche quello della Slovacchia. Una nuova crisi del grano ucraino rischia di coinvolgere l’Europa ma questa volta non si tratta dell’impossibilità per Kiev di esportarlo bensì della volontà dei Paesi dell’Est di non volerlo più importare. Alla decisione di Varsavia di vietare l’ingresso dei prodotti agricoli ucraini nel Paese, nei giorni scorsi, è seguito l’annuncio, pressoché identico nella sostanza, del governo ungherese. All’origine per entrambi la difesa del proprio mercato interno. E ora anche Bratislava dice stop e ha vietato la lavorazione del grano ucraino stoccato e della farina da esso prodotta per la presenza di pesticidi. Ma, anche in questo caso, per tutelare il proprio mercato. “Come la Slovacchia e la Polonia, anche l’Ungheria vieta la fornitura di grano ucraino. Non possiamo mettere in pericolo l’agricoltura ungherese e il sostentamento degli agricoltori ungheresi”, ha scritto il governo ungherese su Facebook. Un effetto domino potrebbe interessare diversi altri Stati dell’Europa Orientale. Tanto che a Bruxelles è già scattato l’allarme: “azioni unilaterali non sono accettabili”, ha avvertito la Commissione Ue.

Le richieste della Polonia – Intanto le delegazioni dell’Ucraina e della Polonia hanno avviato a Varsavia i negoziati sull’importazione di prodotti agricoli ucraini nella Repubblica di Polonia, in particolare per quanto riguarda i cereali destinati al transito verso Paesi terzi, ha riferito il ministro dell’agricoltura della Polonia, Robert Telus, citato da Ukrinform. “Cercheremo insieme una soluzione in modo che il nostro contratto, che vogliamo firmare, diventi effettivo”, ha detto Telus, aggiungendo che la Polonia ha bisogno di un accordo con l’Ucraina, ma se questo venisse firmato oggi potrebbe essere inefficace nell’attuale quadro giuridico dell’Unione europea. Per questo motivo, Varsavia vuole che l’Ue modifichi la legislazione europea nel campo del commercio con i Paesi terzi. Telus insiste affinché le merci importate nell’Ue siano distribuite uniformemente in tutta Europa e non si stabiliscano esclusivamente in Polonia e in altri Paesi confinanti con l’Ucraina.

Le ragioni dell’attrito con l’Europa – Il braccio di ferro tra le istituzioni comunitarie e le capitali dell’Est, sottotraccia, va avanti da settimane. Il grano ucraino ha invaso Paesi come Polonia, Ungheria, Bulgaria, Romania, Slovacchia. I motivi sono molteplici. Innanzitutto, a causa della guerra e dell’applicazione a singhiozzo dell’accordo tra Kiev e Mosca sull’export di grano dal Mar Nero, per il principale prodotto delle campagne ucraine l’accesso all’Europa Orientale è pressoché forzato. Il tema è che, dai Paesi comunitari il grano dovrebbe poi essere inviato all’esterno dell’Ue, in Medio Oriente e Africa soprattutto. Ma, a causa di una certa carenza di camion e treni merci, alla fine parte del prodotto è rimasta nei territori europei, facendo precipitare il prezzo di mercato del grano. Da qui le proteste di migliaia di agricoltori e piccoli imprenditori, dalla Polonia alla Bulgaria. A Varsavia, la crisi dei prezzi (a ribasso) del grano da giorni ha messo nel mirino il partito di destra al governo e ha innescato ampie proteste nel Paese, costringendo, lo scorso 6 aprile, alle dimissioni il ministro dell’Agricoltura Henryk Kowalczyk, sostituito da Robert Telus. Ma la protesta degli agricoltori non si è placata e ancora nelle scorse ore in alcune località della frontiera con l’Ucraina i treni che portano grano nell’Ue sono stati bloccati dai manifestanti. “È un dovere di ogni autorità, ogni buona autorità, proteggere gli interessi dei suoi cittadini”, ha assicurato Kaczynski provando a placare la rabbia in una mossa che guarda anche alle elezioni politiche del prossimo autunno.

Le decisioni – La prima a correre ai ripari, complici anche le elezioni d’autunno, è stata proprio la Polonia. Pur ribadendo la stretta alleanza con Kiev, il governo di Mateusz Morawiecki ha deciso di vietare temporaneamente l’import di grano. Subito dopo è stata Budapest ad annunciare che sarà bloccato l’ingresso “del grano e diversi altri prodotti agricoli ucraini fino al 30 giugno”. E la Bulgaria, nelle stesse ore, ha dichiarato di valutare le medesime restrizioni. “Gli interessi dei cittadini devono essere tutelati”, ha spiegato il ministro dell’Agricoltura Yavor Gechev. Ultima la Slovacchia dove le autorità, già dalla scorsa settimana, hanno vietato la lavorazione e l’introduzione di grano ucraino, non solo nella catena alimentare, ma anche nella catena dei mangimi. Sono stati intensificati anche i controlli e le misure alle frontiere. Tutte iniziative che a Bruxelles, tuttavia, queste iniziative non sono piaciute. “La politica commerciale è una competenza esclusiva dell’Ue, azioni unilaterali non sono accettabili”, ha scandito la Commissione rimarcando la necessità, “in tempi così difficili, di coordinare e allineare le decisioni all’interno dell’Ue”.

La diatriba sul grano ucraino si va ad aggiungere a quella, ancora irrisolta, sul meccanismo di condizionalità dello Stato di diritto che coinvolge Varsavia e, soprattutto Budapest, e che ha congelato i fondi europei. Ma se la Polonia resta tra più fedeli alleati di Kiev, per Viktor Orban la questione del grano si profila come un’ulteriore sponda per smarcarsi dalle politiche europee. La Commissione, nei prossimi due mesi – la moratoria sulle tariffe del grano scade a fine giugno ma Bruxelles ha già proposto di estenderla per un altro anno – è chiamata comunque a trovare una soluzione. Nei giorni scorsi Palazzo Berlaymont aveva proposto un fondo di compensazione di oltre 56 milioni per gli agricoltori dell’Ue colpiti dall’eccessiva offerta di grano. Ma ai Paesi dell’Europa Orientale non basta. E uno degli obiettivi di Varsavia e delle altre capitali è arrivare anche ad una sorta di redistribuzione obbligatoria del grano all’interno dell’Unione.

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