Con la “Dichiarazione di Glasgow” che ha chiuso la COP26, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021, 34 Paesi e le 5 istituzioni finanziarie pubbliche hanno trovato un accordo col quale si impegnano a terminare gli investimenti pubblici internazionali nelle energie fossili entro il 2023. Ma la Dichiarazione è su base volontaria e non vincolante, e non tutti hanno adottato le misure più virtuose. Cosa ha deciso l’Italia lo dice la ong ReCommon, specializzata sui colossi del fossil. “Le strategie italiane sono tra le più inadeguate tra quelle adottate fino a questo momento”, spiega parlando di “scappatoie” che avrebbero favorito il “triangolo di finanza privata, industria fossile e finanza pubblica” che, accusa l’organizzazione, ha tradito gli impegni internazionali. A rilanciare è il deputato di Alleanza Verdi e Sinistra Angelo Bonelli, che in un’interpellanza ai ministri dell’Ambiente, Tesoro e Imprese cita un documento di ReCommon: “Il governo e la sua agenzia di credito all’esportazione Sace si rimangiano di fatto gli impegni presi alla Cop26, continuando a finanziare progetti di carbone, petrolio e gas all’estero almeno fino al 2028. I progetti in fase di valutazione, se realizzati produrrebbero 3,5 volte le emissioni di CO2 annuali dell’Italia, per un totale di 1,2 miliardi di tonnellate di anidride carbonica”. Sace Spa è la compagnia assicurativa controllata dal nostro ministero dell’Economia, prima in Europa per finanziamento pubblico alle fonti fossili e tra le prime al mondo. “Tra il 2016 e il 2021 Sace ha emesso garanzie per i settori del petrolio e del gas pari a 13,7 miliardi di euro”, ha ricordato Bonelli.

La scappatoia dell’Italia Sempre citando ReCommon, Bonelli spiega che, a differenza di quanto stabilito per il carbone e il petrolio, per il gas “la priorità nel phase-out è stata data alla generazione di energia attraverso i combustibili fossili e alla catena di valore del petrolio. Le altre fasi della filiera del gas saranno gradualmente dismesse alla luce del ruolo che il combustibile può svolgere nella transizione“. Grazie a queste “eccezioni”, continua, “Sace può giustificare il suo supporto al settore del gas: il finanziamento a progetti di centrali elettriche a metano continuerà fino al 2023, mentre l’esplorazione e l’estrazione saranno supportate fino al 2026. Per i progetti di trasporto e stoccaggio, invece, la data ultima non è proprio menzionata perché deve essere “ancora definita””. Citando poi il quotidiano Domani, il deputato dei Verdi parla di “regalo alle multinazionali energetiche e alle istituzioni finanziarie, a cui il governo italiano fa da sponda per trasformare l’Italia in hub mediterraneo del gas. Hub per rivenderlo ad altre multinazionali o Paesi, non per le necessità del tessuto produttivo italiano”.

Eni, nel cda il presidente di SaceTra gli interessi in campo ci sono anche quelli di Eni, la multinazionale controllata dal ministero del Tesoro che nel 2017 ha lanciato il progetto del giacimento di gas Coral South Flng per lo sviluppo delle risorse scoperte al largo del Mozambico. Un investimento da 4,7 miliardi di dollari che beneficia del supporto finanziario di Sace. “Giova sottolineare – continua Bonelli – che il Presidente del Consiglio di Amministrazione di Sace è il dottor Filippo Giansante, che è anche membro del Consiglio di Amministrazione dell’Eni”. Tutto considerato, il deputato ha chiesto ai ministeri interpellati se non ritengano “che l’azione del governo e della Sace di conferma dei sussidi pubblici al comparto fossile contrasti palesemente con gli impegni presi in sede di COP26”. Se non intendano “avviare le necessarie iniziative per interrompere gli investimenti pubblici e le garanzie Sace per progetti esteri legati all’estrazione e al trasporto di combustibili fossili”. E infine se non ravvedano “un potenziale conflitto di interessi laddove il Presidente del cda di Sace è anche membro del cda dell’Eni”.

La non risposta del governo a Bonelli A metterci la faccia è toccato alla deputata di Fratelli d’Italia Lucia Albano, sottosegretaria al Tesoro. Ma solo quella, perché la linea è quella di Sace, che il governo sposa senza indugi. E infatti cita la “Policy sui cambiamenti climatici” predisposta nel 2022 dalla compagnia assicurativa. Che la mette sul piano della “sicurezza energetica nazionale” con un cronoprogramma, chiude Albano, “ispirato a un graduale approccio di dismissione delle diverse fonti fossili, in linea con le indicazioni dell’Unione europea riguardo al ruolo che il gas naturale può assumere nel processo di transizione e con i relativi criteri di vaglio tecnico, nell’ambito del sistema di classificazione Ue degli investimenti considerati sostenibili”. Quanto al potenziale conflitto di interessi di Giansante che, va specificato, entra nel cda di Eni nel 2020 ed è presidente di Sace dal maggio 2022, mentre prima era nel consiglio di amministrazione, la sottosegretaria del ministero controllante di Eni e Sace non dice una parola. Anzi, Giansante non lo nomina nemmeno. “Troviamo scandaloso e lesivo del ruolo di parlamentare che un governo si sia rifiutato di rispondere alla domanda nonostante avesse ricevuto l’interrogazione ben cinque giorni fa”, ha risposto Bonelli, che ha chiesto alla Presidenza della Camera “di intervenire presso il governo con un atto di sindacato ispettivo nello svolgimento del suo ruolo”.

Sicurezza del sistema energetico nazionale? Alla comunicazione di Sace, così come riportata dalla sottosegretaria Albano, aveva già risposto ReCommon: “Per rendersi conto di quanto il mantra della sicurezza energetica sia vuoto, si può riportare un esempio: con questa policy, alcuni progetti potrebbero richiedere il supporto finanziario di Sace addirittura nel 2025. Le multinazionali proponenti, con il supporto dei costruttori, potrebbero ultimarli nel 2030 e il gas prodotto arriverebbe in Italia dal 2031“. E ancora: “Risulta difficile credere che otto anni sia un lasso di tempo emergenziale tanto grande da invocare la ‘sicurezza energetica’. Senza contare che solo una minima parte di questo gas arriverà in Italia, come dimostrato dal progetto Coral South Flng di Eni in Mozambico: la prima nave gasiera proveniente dal progetto è approdata a Bilbao e non certo in Italia”. Il mensile Altreconomia ha riportato quanto dichiarato da Simone Ogno di ReCommon: “E’ evidente che, dietro il mantra della sicurezza energetica, gli interessi tutelati siano quelli delle multinazionali energetiche, degli istituti di credito e delle agenzie di credito all’esportazione come Sace”.

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