La misura che sostituirà il Reddito di cittadinanza dal prossimo settembre non è ancora nata. Il Comitato scientifico che dovrà valutarla, sì. E se quello presieduto dalla sociologa Chiara Saraceno si era rivelato una spina nel fianco per il governo di Mario Draghi che ne ignorò totalmente le proposte, il Comitato che la ministra del Lavoro Marina Calderone ha appena affidato all’ex sindacalista Cisl, Natale Forlani, appare decisamente più in linea coi tempi. “La lotta alla povertà è stata un pretesto per disperdere soldi”, ha dichiarato l’estate scorsa il nuovo presidente a l’Occidentale, il quotidiano online della Fondazione Magna Carta, think tank liberal di Gaetano Quagliariello che nel suo comitato scientifico vede lo stesso Forlani. Che per la Misura di inclusione attiva (Mia), come dovrebbe chiamarsi il nuovo Reddito, invita a “riportare la finalità dello strumento alla sua funzione principale di contrasto alla povertà, indirizzando prioritariamente le risorse verso le persone fragili”. E a “limitare l’utilizzo dei sostegni per le persone in grado di lavorare”, come ha scritto alcune settimane fa su ilSussidiario, invitando il governo Meloni a ripartire proprio dalle proposte del Comitato Saraceno.

Segretario della Cisl negli anni Novanta, amministratore e poi presidente di Italia Lavoro, il bergamasco Natale Forlani, classe 1953, è il presidente del nuovo Comitato voluto dalla ministra Calderone. Della vecchia squadra nominata dall’allora ministro del Lavoro, il dem Andrea Orlando, rimane solo l’economista Cristiano Gori, tra gli indipendenti e oggi insieme a Leonardo Becchetti, Giulio Maria Salerno, Giancarlo Rovati e Enrico Deidda Gagliardo. Forlani non ha risparmiato critiche al Reddito di cittadinanza, che secondo lui nasce “da un equivoco di fondo: quello di soppiantare uno strumento residuale, come il reddito dʼinclusione, ed estendere genericamente a tutti i disoccupati una sorta di sussidio generalizzato”. Per Forlani, uno dei problemi principali è proprio l’aver dato troppi soldi a chi, più semplicemente, doveva essere aiutato e incentivato a rientrare nel mercato del lavoro. Salvo poi aggiungere che “il Rdc non ha aiutato le persone a trovare lavoro“. E questo perché “le politiche di welfare devono contribuire a prevenire le situazioni di indigenza, non diventare strumenti di sussidio generalizzato“. Piuttosto, ha rilanciato di recente, la via maestra rimane il condizionamento dell’erogazione “alla partecipazione effettiva alle misure di politica attiva del lavoro e all’accettazione di tutte le proposte di lavoro contrattualmente regolari, sanzionando i rifiuti.

Quanto alle soluzioni, però, alcune settimane fa Forlani invitava il nuovo governo a ripartire proprio da quelle consigliate da chi lo ha preceduto: “Rivedere le scale di equivalenza per la selezione dei beneficiari e per il calcolo delle prestazioni, riducendo l’importo di base per le persone single e aumentando i coefficienti di rivalutazione per i minori e il massimale usufruibile delle prestazioni per le famiglie numerose; dimezzare il requisito di residenza da 10 a 5 anni per aumentare la partecipazione delle famiglie immigrate; allargare le offerte congrue di lavoro e gli incentivi per le assunzioni anche ai rapporti di lavoro a termine e a part-time; consentire entro certe soglie di cumulare il sostegno al reddito con i salari per premiare i comportamenti attivi nella ricerca di un nuovo lavoro”, scriveva su ilSussidiario il 10 marzo scorso. Obiettivo dichiarato del Comitato della Saraceno era innanzitutto quello di rendere più efficace quello che rimane essenzialmente uno strumento di contrasto alla povertà.

Ma il precedente Comitato scientifico nasceva, nel marzo 2021, sotto una pessima stella. M5s a parte, non c’era partito che non criticasse la misura. Tanto che fu deciso di rendere più severe (almeno sulla carta) le condizionalità legate all’erogazione e le sanzioni in caso di rifiuto delle cosiddette offerte congrue di lavoro. Quanto al Comitato, le sue proposte furono tutte ignorate. Paradossalmente, alcuni dei temi sollevati dal Comitato Saraceno sono stati presi in considerazione da chi il Reddito di cittadinanza aveva promesso di abolirlo, il governo Meloni. Che invece cambierà nome e budget, ma senza eliminarlo. Quel che sappiamo è emerso da una bozza di decreto che la Calderone ha poi in parte disconosciuto. Ma tra le ipotesi c’è proprio la rimodulazione degli importi, il dimezzamento del requisito di residenza per i nuclei stranieri, l’allargamento delle offerte “congrue” al lavoro stagionale e al part-time, e la possibilità di cumulare fino a 3.000 euro l’anno di salari al sostegno al reddito. Fin qui l’approvazione del nuovo Comitato sembra scontata.

Resta da vedere se i probabili tagli, a partire da un abbassamento della soglia Isee per accedere al sussidio, restringeranno la platea al punto da lasciare scoperti ancora più nuclei di quanti già non rimanessero fuori dal Reddito di cittadinanza, compresa la metà dei minori in povertà assoluta. Una conseguenza che mette in conto la stessa sociologa Saraceno, che boccia l’idea del governo Meloni, compresa l’ipotesi di ridurre da 18 a 7 i mesi di erogazione per coloro che sono considerati occupabili. Scelta che avrà immediate ripercussioni visto che sul fronte delle politiche attive non è ancora cambiato nulla. Punti sui quali Forlani non ha ancora avuto modo di esprimersi. Più in generale, però, chiede di rafforzare “i servizi territoriali e le misure per l’inclusione sulla base delle caratteristiche soggettive e famigliari delle persone coinvolte”. Ma, come ha ribadito lo stesso ministero del Lavoro nei giorni scorsi, finora il potenziamento dei centri per l’impiego avviato nel 2019 ha visto solo il 37% delle assunzioni previste, e in alcune regioni del Sud, dove risiede la maggior parte dei percettori di Reddito, siamo ancora a zero. Su questi fronti le valutazioni di un Comitato indipendente potrebbero rivelarsi poco soddisfacenti per il governo. Ma se così fosse, la Meloni potrà sempre fare come il governo Draghi, ignorando gli esperti e i loro suggerimenti.

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