La Siria è lo scheletro nell’armadio di Occidente e Oriente. Proprio per questo motivo, la Siria non esiste. Non può avere una voce nel dibattito mondiale. Non può far sentire la sua voce, quella dei suoi morti e dei figli e figlie che l’abbandonano, perché, altrimenti, questo significherebbe riconoscerla. E il riconoscimento si trasformerebbe in una ammissione di colpa per quello che non è stato fatto.

Il 15 marzo di dodici anni fa dei ragazzini, a Dara’a, città sperduta della Siria del sud, scrivevano su di un muro ‘il popolo vuole la caduta del regime’. Subito vennero arrestati e torturati, nonostante fossero appena adolescenti. Ma si sa, in Siria insultare il presidente, padre della patria e di tutti i sudditi, significa mettere a rischio la propria vita. Per questo motivo la gente scese in piazza, chiedendo la fine della dittatura e la conseguente apertura del paese alla democrazia. A queste richieste, il regime rispose con una violenza inaudita che scatenò la guerra civile. Guerra alla quale presero parte anche potenze internazionali, finanziando o intervenendo con scarponi da una e dall’altra parte. In questo marasma è avvenuto poi che si sia buttato fango su quei giovani ragazzi e ragazze che erano scesi a chiedere il cambiamento in una maniera pacifica.

E siamo ad oggi, dove un paese dilaniato dalla morte non riesce ad ottenere attenzione. Anzi, sembra percorrere la strada della normalizzazione e cioè il ripristino dei rapporti diplomatici con Bashar al Assad, dittatore sanguinario. Non è sull’agenda di nessuno stato quella di portare il macellaio di Damasco, il torturatore di una nazione, davanti ad un gran giurì. Se ciò accadesse, bisognerebbe chiedere come mai ci sia voluto cosi tanto e perché gli si sia lasciato adoperare armi chimiche e bombe a grappolo ininterrottamente per anni. E questa sarebbe una domanda scomoda per tutte quelle nazioni e governi che dicono di aver a cuore la Siria ma che, in verità, preferiscono scegliere di lasciar fare e osservare gli avvenimenti.

In nome di questa colpa – quella di non aver fatto nulla – lasciamo la Siria morire o ci dovremmo ritenere responsabili. Dodici anni sono stati un lungo tempo per scegliere cosa fare. Ma rimane ancora oggi evidente che scegliamo di nascondere ogni cosa sotto il tappeto. E della Siria? Chissenefrega.

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