di Alessandro D’Ambrosio

Per fortuna e purtroppo non vi sono metodi per misurare l’etica di una società. Per fortuna e purtroppo, citando Gaber.

Siamo in un’epoca storica in cui la curva di crescita economica tanto cara a questo sistema chiamato “capitalismo” in generale nei paesi sviluppati non è più così ascendente, tende sempre più ad appiattirsi, e insieme a quella si appiattiscono le prospettive di vita, i giovani sono ingabbiati in un sistema in cui se studi, ti laurei, prendi due master e parli tre lingue in molti casi devi scegliere tra emigrare lontano da tutto o accontentarti di 1200 euro al mese (lo so, sono ottimista).

E’ evidente che con queste (inesistenti) prospettive, è molto difficile rendere appassionante agli occhi di un 15enne il mestiere del tornitore o del medico di base, di conseguenza negli ultimi anni ha preso piede tra i giovani (quelli veri) e i supergiovani (i quarantenni nell’eterno limbo dell’adolescenza) uno stile di vita facilmente identificabile con l’acronimo YOLO (You Only Live Once), che in sostanza si può tradurre nell’esortazione a vivere il presente senza troppi pensieri, senza proiettarsi nel futuro, insomma, perché faticare tanto se non ci sono le basi per avere ambizioni? Pensa alla salute e campa cavallo! Di conseguenza, spesso si vive a casa dei genitori, senza un lavoro, senza diploma, senza patente, senza interesse per nulla, perché tanto anche se ti interessi, dove pensi di arrivare?

La situazione di per sé potrebbe già risultare tragica a questo punto, se non fosse che all’inizio degli anni 2000 alcuni studenti universitari con un sacco di problemi con i rapporti sociali hanno inventato i social network, uno strumento nato appunto per agevolare i rapporti sociali e arrivato ad essere a distanza di pochi anni una tra le maggiori cause di isolamento sociale degli esseri umani (magico, non è vero?).

Bene, ma cosa c’entra l’etica con tutto questo? Mettiamola così, questo poutpourri di cose a caso succitate ha generato come effetto collaterale un’enorme illusione di massa: si può vivere di solo marketing.

Mi spiego meglio, i social network hanno subito negli anni una trasformazione da luogo di interazione sociale a semplice espositore dei fatti nostri, a contenitore di foto e video sempre più brevi, sino all’ultimo stadio (sin qui): strumento perfetto di vendita di qualsiasi prodotto. Ogni singolo contenuto che pubblichiamo sui social network non è altro che un prodotto in vendita, le nostre informazioni personali vengono vendute, se poi otteniamo ampia visibilità iniziamo a “monetizzare”, di conseguenza arriveranno proposte di sponsorizzazione da aziende di vario genere. In sintesi non importa quale tipo di contenuto stai proponendo, la sola cosa che conta è quanta grana ci fai sopra, ergo: il tuo contenuto è strettamente legato ad un’analisi di marketing, a chi stai parlando? Qual è il tuo target? Cosa possiamo vendere a tutta questa gente? E la cosa è incredibilmente semplice, perché sai perfettamente chi vede i tuoi contenuti, qual è l’età media, da dove provengono, che orientamento politico hanno, ecc.

Insomma, è una macchina perfetta per il marketing, e se un’ambizione nelle nostre menti è rimasta è desiderare di campare di marchette sui social, di diventare noi stessi strumenti di marketing, ma ci stiamo lentamente dimenticando che le cose migliori di questo mondo non sono state create grazie ad esso. Oggi abbiamo fame di inventori, di appassionati, di poeti, di pensatori, di uomini e donne spinti da qualche cosa di più alto di un banale obiettivo di vendita o di un’analisi di mercato. Ecco il problema etico: oggi il marketing è l’unico obiettivo e noi ci stiamo svendendo al miglior offerente; purtroppo le condizioni sociali imposte da un precariato a cui oramai siamo abituati di certo non sono un incentivo ad uscire da questa situazione di perenne grigiore.

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