Il numero delle esecuzioni capitali è pressoché raddoppiato in Arabia Saudita da quando, nel 2015, il principe della Corona Mohamed bin Salman, figlio del re Salman, è salito al potere.

Lo ha rivelato un rapporto di Reprieve e dell’European Saudi Organization for Human Rights, due organizzazioni non governative che si occupano costantemente della situazione dei diritti umani in Arabia Saudita.

Dal 2010 al 2021 sono state registrate almeno 1243 esecuzioni. Nel 2022 ce ne sono state almeno altre 147, 81 delle quali in un solo giorno, il 12 marzo. Gli anni più sanguinosi sono stati proprio quelli dal 2015 al 2019 e dal 2021 al 2022, con una media di 129,5 esecuzioni all’anno, con un aumento dell’82 per cento rispetto al quinquennio precedente.

L’avverbio “almeno” è necessario. Le autorità saudite mantengono il totale riserbo sui processi capitali, sulle condanne a morte e sulle esecuzioni. Le organizzazioni per i diritti umani fanno un’enorme fatica a raccogliere le informazioni ed è ben possibile che i loro dati siano in difetto.

La pena di morte in Arabia Saudita è prevista per numerosi reati: omicidio, traffico e spaccio di droga, crimini di natura sessuale, formazione o appartenenza a un’impresa criminale o a un gruppo fuorilegge, sequestro di persona, sedizione, tradimento e altri crimini contro la sicurezza dello stato, stregoneria e sortilegio.

L’uso massiccio della pena capitale, inflitta quasi sempre tramite impiccagione, si accompagna a processi irregolari, tenuti a porte chiuse, con limitato accesso alla difesa, accuse basate su prove estorte con la tortura, assenza di servizi d’interpretariato per imputati stranieri e procedure d’appello che sono poco più che il timbro finale sulle sentenze precedenti.

I cittadini stranieri messi a morte nel periodo considerato dal rapporto sono stati almeno 490, quasi il 40 per cento del totale.

Nello stesso periodo sono state impiccate 31 donne: tre quarti erano straniere e nel 56 per cento dei casi erano lavoratrici domestiche, condannate a morte per omicidio spesso per aver ucciso il datore di lavoro che le sottoponeva a violenza sessuale.

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