La lenta marcia indietro di Carlo Nordio prosegue anche nel giorno dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Dopo il faccia a faccia con Giorgia Meloni, il ministro della Giustizia torna a Venezia, dove è stato magistrato per quarant’anni, e giura che le riforme “avverranno in armonia e avranno comunque un elemento non trattabile”. Quale? “L’indipendenza e l’autonomia della magistratura”, ha detto il Guardasigilli minimizzando a “insinuazioni” le critiche. “Ho sentito addirittura che sarebbe mia intenzione di sottoporre il pubblico ministero al potere esecutivo”, ha affermato. “Figuriamoci – ha ribadito – se avendo fatto il pubblico ministero, potrei anche solo immaginare che la mia funzione finisse sotto il controllo politico. Se non avessi una concezione di sacralità dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura, non avrei esercitato e mantenuto la toga per 40 anni, in un modo che ritengo sia stato ispirato dai principi costituzionali di dignità e onore”.

Nordio: “Riforme su mandato elettorale” – Il programma di riforme, in ogni caso, resta lì: “Deve seguire il mandato elettorale – sottolinea – In queste riforme la mia priorità sarebbe quella di conciliare i tre pilastri della nostra giurisdizione penale, che sono tra di loro tecnicamente incompatibili”. E spiega: “Abbiamo una Costituzione nata dalla Resistenza, che è affiancata da un codice penale che risale al 1930, ai tempi di Mussolini, che gode di una certa buona salute, e un codice di procedura penale del professor Vassalli modificato e demolito più volte. Questi tre pilastri vanno armonizzati”. Il suo più volte dichiarato volere di intervenire sulle intercettazioni, insieme ai primi effetti tangili della riforma Cartabia, tiene banco in ogni sede giudiziaria. Da Torino a Milano passando per Bari e Palermo, l’appello e le preoccupazioni dei magistrati sono tutte rivolte alle intenzioni della maggioranza di governo che, sul tema, ha già trovato una sponda nella visione di giustizia di Azione e Italia Viva.

Torino: “La mafia è ovunque, non la vediamo ovunque” – Il procuratore generale di Torino, Francesco Saluzzo, ha sottolineato che “la mafia non è vinta” e “noi dovremmo avere sempre più strumenti per potere svolgere indagini penetranti e incisive”. Eppure “si sta affacciando la possibilità che lo strumento essenziale e formidabile delle operazioni di ascolto venga depotenziato se non addirittura ridotto a un mero spunto investigativo”. Le parole di Saluzzo sono riferite in maniera chiara a Nordio: “”È stato detto che i magistrati vedrebbero la mafia dappertutto. Penso che la questione vada ribaltata: è la mafia a essere un po’ ovunque, come hanno dimostrato i processi che si sono celebrati nel mio distretto e che, mattone dopo mattone, la procura ha avviato fin dagli Anni ottanta”. Sostenere che la mafia ormai è vinta è, secondo Saluzzo, “un mantra che non tiene conto della capacità di essa nelle sue quattro articolazioni fondamentali di adattarsi gattopardescamente alla realtà e di cambiare settore di intervento, sempre prediligendo quelli maggiormente remunerativi ma mutando anche il ‘cavallo’ del potere più funzionale”. Il procuratore ha quindi sottolineato che “la mafia non è vinta, la si può ‘vincere’, anche se questo è un compito che non appartiene solo ai magistrati, ma tutte le articolazioni dello Stato”. E ha quindi attaccato ironicamente sulle intercettazioni: “Trovo straordinario che in un mondo globalmente interconnesso si stia ragionando sull’abbandono dello strumento che meglio di tutti tiene in contatto gli autori dei reati sul territorio nazionale, da un capo all’altro d’Europa, da un capo all’altro del mondo”, ha sottolineato. “Cosa dovremmo fare? – si è chiesto – Ritornare ai pedinamenti, alla speranza di testimoni volenterosi, all’analisi di carte (siamo troppi affezionati ai ‘pizzini’), per retrocedere vistosamente nella efficacia di queste indagini ed essere così perdenti nella eterna partita a guardie e ladri?”.

Milano: “Con Cartabia manca effettiva tutela vittime” – Focus sugli effetti della riforma voluta dall’ex ministra Cartabia, invece, nelle parole della procuratrice generale di Milano Francesca Nanni: “È giusto preoccuparsi per il fatto che alcune modifiche al regime di procedibilità di alcuni delitti introdotte dalla riforma Cartabia, in particolare i sequestri di persona, le violenze private, le lesioni dolose fino a quaranta giorni di prognosi, possono sostanzialmente lasciare prive di effettive tutela molte vittime”. Nanni si è soffermata anche sul mai sopito progetto di separazione delle carriere, tanto caro a Forza Italia: parlarne come “rimedio salvifico” per il sistema penale, ha sottolineato, “oltre a non corrispondere alla attuale realtà dei rapporti fra i vari attori del processo, ci sembra un atteggiamento limitato e riduttivo rispetto ai problemi, oltre che anacronistico e pericoloso”. La “situazione attuale”, ha quindi specificato, è caratterizzata dalla “riproposizione del vecchio conflitto tra politica e magistratura”, condizioni che “andrebbero superate”.

Palermo, dalla corruzione alla mafia – Sull’apporto fornito dalle intercettazioni si è soffermata ance Lia Sava, procuratrice generale di Palermo: “Per contrastare efficacemente fenomeni corruttivi occorrono anche le intercettazioni, strumento che non va spuntato ma che impone, ne siamo assolutamente consapevoli, il rigorosissimo rispetto delle regole codicistiche, senza perniciose fughe di notizie, così scongiurando in radice ogni oscena invasività nella sfera di terzi estranei al reato”, ha detto. Per il presidente della Corte d’appello Matteo Frasca è “indispensabile” che “la lotta alla mafia sia sempre al centro, con i fatti, dell’agenda politica del governo e del Parlamento, dell’agenda istituzionale di magistrati e forze dell’ordine, dell’agenda civica della comunità”. E di conseguenza ha definito “indispensabile che la legislazione in materia non venga modificata in alcun punto se non per potenziarne l’efficacia”. Anche perché, è stato il ragionamento di Sava, “con le allettanti risorse del Pnrr, ci sarà un’espansione delle attività di Cosa Nostra indirizzate al fine di lucro per aggiudicarsi ricchezza ingente, attraverso il riciclaggio e l’acquisizione di aziende, con l’obiettivo di realizzare posizioni monopolistiche in settori commerciali nevralgici, sfruttando fetide e ben collaudate relazioni con settori corrotti della pubblica amministrazione”.

L’appello da Roma: “Non restringerne l’uso” – Salvatore Vitello, procuratore generale di Roma facente funzioni, ha ricordato come i dati delle inchieste antimafia condotte dalla Dda confermano come nell’area “sono radicate numerose organizzazioni criminali” che sfruttano le “risorse illecitamente ottenute dalle organizzazioni criminali vengono utilizzate per acquisire il controllo di attività imprenditoriale o per penetrare il mondo degli appalti”. In questo contesto, ha proseguito il magistrato, “l’azione di contrasto di fenomeni così invasivi del tessuto economico ed amministrativo, anche se non inseriti nel perimetro della criminalità organizzata, non può prescindere dall’attività di intercettazione”, che “potrà essere meglio puntualizzata per evitare indebite propalazioni nei confronti di persone estranee al procedimento, ma senza restringerne l’uso, anche perché l’esperienza investigativa ha dimostrato abbondantemente che le intercettazioni disposte per delitti comuni, comunque gravi (come la corruzione) hanno permesso di disvelare pericolosi intrecci mafiosi”.

Napoli: “Riforma Cartabia è legge spazzafascicoli” – “Nessuno vuole guardare dal buco della serratura, ma è ignota solo a chi non vuol vedere l’intersecazione che esiste tra i reati di mafia e quelli contro la pubblica amministrazione. Pensare di legiferare in maniera schematica di fronte a una realtà così complessa e fluida è estremamente sbagliato”, ha sottolineato il procuratore generale di Napoli Luigi Riello sul tema delle intercettazioni. Quindi si è soffermato sulla riforma Cartabia definendola una “depenalizzazione camuffata”. “Credo – ha scritto il pg nella usa relazione – che ricorrere ad una legge ‘spazzafascicoli’, o se volete ad una strisciante amnistia, sia una strada più comoda e facile che procedere ad una effettiva razionalizzazione del processo”. Riello ha definito la riforma “una operazione che farà quadrare le statistiche ma non i diritti dei cittadini”. Il suo è stato un grido d’allarme: “Personalmente – ha spiegato – posso anche apprezzarne alcuni aspetti, ma non ritengo costituisca una conquista di civiltà rendere perseguibili a querela reati gravi”. E ha sottolineato: “Lo dobbiamo dire noi che le ‘dissuasioni’, le intimidazioni a non presentare querela ci sono già, e saranno sempre di più all’ordine dell’ora, del minuto, soprattutto nei nostri territori, da parte di protervi e arroganti criminali?”. “Non è un segnale positivo – ha proseguito Riello nella sua disanima – il sostanziale disinteresse dello Stato che finisce con l’abbracciare una concezione civilistica del diritto penale che non tiene conto della rottura del ‘patto sociale’ che si realizza a mezzo di condotte gravi e violente”. “Garantire la tenuta del patto sociale – ha proseguito – è compito delle istituzioni, altrimenti basterebbe il codice civile: riduciamo tutto a una richiesta risarcitoria e se la vittima tace, lo Stato sta a guardare”. La giustizia – ha concluso Riello – è “sempre più fucina di sperimentazioni di laboratorio a seconda delle maggioranze politiche che si alternano”.

Bari: “Argomenti sconcertanti su intercettazioni” – Duro anche il presidente della Corte d’appello di Bari, Franco Cassano, per il quale “gli argomenti utilizzati, persino in Parlamento, contro le intercettazioni in sé, e contro l’uso che se ne fa, sono francamente sconcertanti, e disegnano le Procure della Repubblica, e le forze di polizia giudiziaria, come poteri che procedono per scopi impropri”. Di fronte a questo scenario, ha ammonito Cassano va “rimarcato che le intercettazioni sono strumenti indispensabili alle indagini, cui non è possibile rinunziare” per gli inquirenti. “Questione diversa – ha rilevato – è quella che attiene all’utilizzo del trojan, per la peculiarità dello strumento tecnico, che consente la captazione itinerante e continua di dati audiovisivi in tutti gli ambienti frequentati dall’indagato, anche quando indifferenti rispetto alle indagini”. Ma se per gli indagati ‘comuni’ solleva il tema della privacy, per le mafie – secondo il presidente – “non è possibile farne a meno”. Cassano si è anche soffermato sulla “regressione dalla giurisdizione ordinaria, vissuta dal legislatore con insofferenza, alla stregua, s’è detto, di una zavorra di lacci e lacciuoli da aggirare”. E ha citato il decreto Piantedosi sul codice di condotta delle Ong “con il quale le sanzioni per le navi che soccorrano naufraghi con modalità diverse da quelle date si spostano dal terreno penale a quello amministrativo”. Il presidente della Corte d’appello ha quindi sottolineato che si tratta di una “tendenza” che “attinge anche le norme che mirano a sterilizzare i rischi penali per gli amministratori di aziende di ‘interesse strategico nazionale’, come l’Ilva” o “negli auspici del ministro, alla preferenza da accordare alle intercettazioni preventive rispetto a quelle giudiziarie”.

GIUSTIZIALISTI

di Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita 12€ Acquista
Articolo Precedente

L’inaugurazione dell’anno giudiziario alla Corte d’appello di Venezia con il ministro Nordio: segui la diretta

next
Articolo Successivo

Condannato a 7 anni l’ex parlamentare Pepe (Ccd e Udeur): “Fece la guerra al dirigente del centro medico specialistico, che chiuse”

next