“Una vittoria dello Stato e delle istituzioni”. Sintetizzando il messaggio del Capo dello Stato e della Presidente del Consiglio sull’arresto del capomafia Matteo Messina Denaro. Più ripenso a queste dichiarazioni di giubilo e orgoglio e più mi sento parte di quel mondo capovolto e grottesco di cui parlava Orwell in 1984. Sì, perché non solo ha ben poco di cui essere orgoglioso, uno Stato che arresta un capo mafioso latitante da decenni praticamente sotto casa sua (sai che novità), quando è vecchio e malato.

C’è di più, dai festeggiamenti ipocriti per una “cattura” (sic) che avviene quando evidentemente i gangli malavitosi si sono già organizzati per la successione emerge un messaggio chiaro e inquietante per la Mafia e anche per le sue vittime effettive e potenziali. I boss possono dormire sonni tranquilli perché la loro attività si svolge nella massima tranquillità fino a che la cupola stessa non ha trovato validi motivi per sostituirli. Insomma, la vicenda di Messina Denaro comunica che la Mafia è viva, vegeta e protetta e che, semmai, perde questa protezione anche politica quando si ammala e finisce di suo il proprio ciclo vitale. Naturalmente dopo aver già gestito e organizzato la successione al proprio interno.

Non sto parlando solo e tanto dell’ex potente di turno, che ormai vecchio e malato viene sacrificato alla parata dei festeggiamenti di Stato e al farsi belli dei nostri governanti di turno. Mi riferisco, invece, a quel vero e proprio connubio malavitoso che la Mafia ha allacciato con i gangli vitali dello Stato e che certamente non possono considerarsi neppure scalfiti da una cattura posticcia che viene presentata come una vittoria delle istituzioni. Stressando il concetto all’estremo, mi viene da dire che l’Italia non è tanto un paese mafioso perché c’è la Mafia (e prospera), ma perché a regolare la vita quotidiana di quello stesso paese sono regole e meccanismi di stampo mafioso.

Un paese dove si criminalizzano dei ragazzi che imbrattano di vernice lavabile le pareti del Senato, senza minimamente interrogarsi sul crimine che il nostro modello sociale sta compiendo verso l’ecosistema e le generazioni future. Un paese che tollera la distruzione scientifica e sistematica dell’istruzione, della cultura e della formazione delle nuove generazioni lasciando campo aperto alle pratiche del familismo, della raccomandazione o della cooptazione dei servi sciocchi di turno mortificando tutto ciò che è studio, competenza, merito e sacrificio. Un paese governato da una classe politica che urla e promette di tutto quando sta all’opposizione, salvo smentirsi in maniera patetica e furbesca una volta raggiunte le stanze del potere. Lo stesso paese in cui i cittadini devono aver paura di una magistratura che interviene in maniera implacabile e sconsiderata contro i deboli e gli indifesi (ambientalisti, ma anche piccoli evasori, nda) tutelando il malaffare dei ricchi e potenti.

Lo stesso paese in cui il cittadino medio deve aver paura delle multe esose e di un fisco predatorio, mentre la grande finanza, le multinazionali e i professionisti dalle parcelle galattiche riescono a evadere buona parte dei propri introiti. L’elenco potrebbe continuare a lungo, ma mi fermo qui. In un certo senso – e quanto mi costa scrivere questa cosa – viene da dare ragione a chi diceva che la Mafia non esiste. Perché non esiste alcuna organizzazione malavitosa protetta dallo Stato. Che non sia quello stesso Stato. Chi ha osato affermare il contrario è saltato in aria. Come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, come le nostre illusioni che lo Stato possa sconfiggere la Mafia ogniqualvolta si festeggia con luci finte la cattura di un pericolosissimo boss nel momento in cui non serve più alla Mafia stessa. E forse neppure a qualcuno dentro allo Stato.

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