Cime colorate di verde, macchie bianche solo in zone d’ombra e sui cucuzzoli, impianti chiusi per la quasi totalità e gli altri aperti solo per qualche passeggiata limitata. E quindi disdette negli alberghi, paesi e negozi svuotati, maestri di sci senza lavoro. Sullo sfondo una finestra affacciata sul futuro: il clima che cambia, l’inverno che non arriva mai o che è solo una speranza, uno scenario inquietante sulla carenza di acqua dopo che nel 2022 in Europa si è registrata la siccità peggiore degli ultimi 500 anni. In montagna la neve non arriva anche se una vaga (e peraltro non risolutiva) speranza, sopra a certe altitudini, è proiettata dalle previsioni meteorologiche sulla domenica che arriva. Gli operatori del settore paragonano gli effetti economici per la situazione che colpisce in particolare gli Appennini al periodo della pandemia.

A cascata gli effetti sull’indotto turistico e quindi sul tessuto sociale. “La totale assenza di neve naturale l’impossibilità di produrla viste le alte temperature e le previsioni del tempo che non sembrano essere assolutamente favorevoli ad un cambio drastico verso temperature più consone al periodo e a precipitazioni nevose rischiano da fare andare in default l’intero sistema economico su cui si regge questa importante parte d’Italia” ha annunciato nei giorni scorsi Andrea Formento, presidente di FederFuni e assessore al Turismo di Abetone, in Toscana, che tra l’altro ha una giunta di centrodestra. Secondo la Cna di Bologna la mancanza di neve mette a rischio il futuro “di circa 500 aziende”. Nell’immediato “sta colpendo la filiera dello sci, la ricezione alberghiera, tutto il mondo del turismo in Appennino, ma forti ripercussioni le avranno anche le imprese dell’indotto e aziende alimentari e della ristorazione” spiega il vicepresidente Marco Gualandi, imprenditore dell’Appennino. Secondo l’organizzazione bisogna “ragionare in termini di ristori per le aziende maggiormente in difficoltà” puntando però lo sguardo al futuro. Per Gualandi, infatti, “il turismo nell’Appennino va rivisto. Non bisogna focalizzarci solo sul ‘bianco’ ma puntare di più sul ‘verde’, su un turismo 365 giorni all’anno. Allo scopo, ha aggiunto, potrebbero essere utilizzati i fondi del Pnrr e puntare sul turismo dei sentieri”.

Impianti sciistici senza neve a Frontignano e Bolognola, sull’Appennino marchigiano. ANSA/BASILIETTI

Così, mentre in questi giorni un pezzo della politica italiana si è molto indignata contro i ragazzi che per denunciare l’inazione dei governi sui cambiamenti climatici hanno tirato vernice lavabile su un pezzo di facciata del Senato (descrivendolo come il bombardamento del palazzo della Moneda in Cile), l’esecutivo di Giorgia Meloni si ritrova, come sorpreso, a convocare (il 10 gennaio) una riunione d’urgenza per un tavolo che vedrà da una parte la ministra del Turismo Daniela Santanchè e dall’altra le Regioni più colpite, cioè quelle appenniniche del Centro Italia (Abruzzo, Toscana, Emilia Romagna). La giostra di parole è sempre quella consueta: “pacchetto di aiuti”, “politiche di sviluppo e di ammodernamento”, “fondi speciali”. L’obiettivo, insomma, è scavallare questi tre mesi che portano a primavera. “Bisogna andare oltre la dichiarazione di stato di calamità e trovare con urgenza soluzioni strutturali a sostegno delle aziende di tutta la filiera – aveva fatto capire Formento – sulla falsa riga di quelle adottate per limitare le conseguenze economiche negative del Covid 19”. In Emilia Romagna – sulle cui montagne si sono registrate le temperature più alte degli ultimi 40 anni – l’assessore al Turismo Andrea Corsini garantisce che “non siamo all’anno zero” e parla di “tecnologie di nuove generazione per far fronte alle emergenze”. E poi “dobbiamo potenziare la nostra offerta, ora insufficiente per qualità e quantità, se vogliamo aumentare le presenze in montagna”. Cambia lo schieramento, da centrosinistra a centrodestra, non cambia il concetto. La ministra Santanchè in un’intervista al Qn dice che “di fronte al cambiamento climatico dobbiamo pensare a nuovi pacchetti di offerte e di maggiori servizi. È evidente, quindi, che serve un intervento più complesso”, “dobbiamo immaginare come implementare e ampliare il pacchetto di attrazioni che la montagna può offrire oltre alle piste innevate”.

Il problema più grave ovviamente riguarda i poli sciistici di Roccaraso, Abetone o del Cimone. Ma sulle Alpi gli effetti si sentono comunque. In Alto Adige le temperature sono comunque state troppo miti finora per gennaio. Mentre l’innevamento artificiale notturno asseconda gli appassionati dello sci, la situazione è decisamente diversa a causa della carenza di neve naturale per la sci da fondo e lo slittino che pure producono un bel pezzo di “Pil stagionale”. “Finora l’inverno è stato decisamente troppo mite. Attualmente, sulle montagne c’è solo la metà della neve rispetto alla media pluriennale”, conferma il meteorologo provinciale Dieter Peterlin. Due giorni fa si sono registrate le temperature più alte, complici i venti di foehn che hanno portato le temperature in Val Venosta a 18 gradi a Lasa e a 15 gradi a Silandro.

Il destino sembra ineluttabile: si pensa direttamente al “cambio di strategia” senza che si sfiori nemmeno il concetto che questo processo si potrebbe almeno rallentare con politiche ambientali più radicali perché l’orizzonte è un po’ più in là del naso della politica. Ne va della salute dell’ecosistema della montagna con tutto ciò che ne consegue. La Coldiretti, per esempio, se da una parte ricorda che quest’anno in Italia sono caduti circa 50 miliardi di metri cubi di acqua in meno, aggiunge anche che, sì, le piste da sci sono deserte e sono un macigno sull’economia locale, ma la caduta della neve in questa stagione è infatti determinante per recupero delle risorse idriche nelle montagne e favorire la produzione agricola, secondo il vecchio adagio contadino “sotto la neve il pane“. Il 2022 appena concluso si classifica fino ad ora tra i più siccitosi degli ultimi trent’anni con la caduta del 30% di acqua in meno rispetto alla media storica del periodo 1991-2020, secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Isac-Cnr relativi ai primi undici mesi dell’anno. A preoccupare, sostiene l’organizzazione dei coltivatori diretti, è il caldo anomalo con le coltivazioni ingannate da una finta primavera che si stanno predisponendo alla ripresa vegetativa con gemme e fioriture anomale, dalle mimose ai limoni. Il rischio concreto è che, conclude la confederazione agricola, nelle prossime settimane le repentine ondate di gelo notturno brucino fiori e gemme di piante e alberi, con pesanti effetti sui prossimi raccolti futuri.

Il futuro è ora: sembra una frase fatta o un motto retorico. Eppure alle mille voci si aggiunge anche quella di Erika Hiltbrunner, biologa e ricercatrice alpina del Dipartimento di scienze ambientali dell’Università di Basilea, che spiega che tra 50 anni (non mille: 50) gli appassionati potranno ancora sciare, ma non ovunque. “Le stazioni sciistiche che dipendono totalmente dall’innevamento naturale chiuderanno nei prossimi decenni” spiega Hiltbrunner a Der Spiegel. La ricercatrice ha effettuato alcuni studi nel comprensorio sciistico di Andermatt-Sedrun-Disentis, in Svizzera, per valutare l’efficacia dei cannoni da neve per salvare la stagione sciistica. “Se prendiamo in considerazione lo scenario climatico peggiore, ovvero un riscaldamento globale di più quattro gradi rispetto all’era preindustriale entro la fine del secolo, allora le cose si mettono male: chiunque voglia sciare lo dovrà fare ovunque con il 100% di neve artificiale. Tuttavia, gli sport invernali sarebbero ancora possibili nel nostro scenario nel 2100“, ha commentato la biologa. La situazione, però, vale solo per le stazioni sciistiche che si trovano oltre i 2.000 metri. “Ci sono limiti fisici oltre i quali l’innevamento tecnico non funziona più – ha spiegato Hiltbrunner -. Le macchine della neve lanciano acqua fredda nell’aria. Le gocce si raffreddano. Ma l’aria deve essere secca affinché l’acqua evapori. Altrimenti rimane acqua. E ovviamente deve essere abbastanza freddo perché si formi il ghiaccio. Normalmente può nevicare dai -1,5 gradi. Il nostro studio ha dimostrato che nei comprensori sciistici che si trovano sotto i 1900 metri e poi scendono a valle le temperature saranno troppo alte e l’aria troppo umida per la formazione di neve tecnica nei prossimi decenni. I cannoni quindi non possono fare molto”. Hiltbrunner ricorda che “quest’anno, a Natale ha fatto talmente caldo che i pendii innevati si sono sciolti. In futuro, i comprensori sciistici dovranno essere innevati più volte e anche con aree più grandi. Questo costa molta più energia. E poi a un certo punto l’acqua non basta più. Abbiamo calcolato che il consumo di acqua ad Andermatt-Sedrun-Disentis aumenterà di circa l’80% nel peggiore scenario climatico”. L’utilizzo della cosiddetta neve artificiale o ‘neve tecnica’, inoltre, potrebbe rivelarsi negativo per l’ambiente. “Non si usano più prodotti chimici, ma la neve tecnica è più densa e potrebbe, ad esempio, influenzare la crescita delle piante – conclude la ricercatrice -. Ma gli effetti a lungo termine sull’intero ecosistema non sono stanti ancora adeguatamente studiati”.

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Perché la mancanza di neve non riguarda solo lo sci. “Si rischia un altro anno di siccità. La politica pensi a come possiamo risparmiare acqua”

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