“Il Reddito di cittadinanza? Per me ha rappresentato la libertà. Poter comprare un libro, un abbonamento dell’autobus. Malgrado la crisi e lo sfruttamento del lavoro, se si riesce a vivere in modo dignitoso si può essere persone migliori”. Laura ha 56 anni, una laurea in Sociologia e diversi lavori alle spalle. Spesso precari, mal pagati. “Lavoretti, alternati a periodi di disoccupazione, consulenze e formazione”. Poi, la malattia della madre e la necessità di dedicarsi “totalmente alla sua assistenza”: “Mi sono ritrovata a 50 anni, quando lei purtroppo è venuta a mancare, fuori dal mercato del lavoro“. Senza il reddito, in questi anni mantenersi “sarebbe stata un’impresa”, racconta, fuori dal ministero del Lavoro a Roma.
Lì, a pochi passi dal Parlamento – dove la manovra è nel pieno caos, tra ritardi in commissione Bilancio, l’approdo in Aula slittato e le polemiche delle opposizioni contro il governo Meloni – le Camere del lavoro autonomo e precario (Clap) si sono riunite insieme con altre associazioni capitoline, percettori e beneficiari del sussidio, per continuare il lavoro di costituzione dei “Comitati per la difesa del reddito“, dopo l’assemblea pubblica di lancio dell’iniziativa. Una mobilitazione ribattezzata ‘Vogliamo molto più del reddito‘, per ribadire come, al di là dell’operazione di smantellamento portata avanti dalla maggioranza di centrodestra, “sia invece necessario ampliare la misura, oggi parziale e insufficiente, ma comunque in grado di far uscire tante persone da una condizione di povertà assoluta“, spiega Tiziano Trobia, coordinatore delle Clap.
Serve “ribaltare la narrazione tossica contro il Rdc e contro i percettori, bollati come persone che non hanno voglia di lavorare e si mantengono a spese del welfare. La realtà è che manca la domanda di lavoro, quella che c’è è di scarsa qualità. Perché le proposte che arrivano, anche a chi richiede questa misura, sono sottopagate e precarie. Salari da fame che non consentono di poter vivere. Per questo accanto alla battaglia per il Rdc, serve insistere per il salario minimo“, aggiunge Biagio Quattrocchi, delle Clap.
L’obiettivo così è “dare voce ai percettori”, rilanciano fuori dal ministero del Lavoro. Dove, simbolicamente, è stato portato un ‘divano’ gonfiabile, simbolo della delegittimazione pubblica portata avanti contro chi beneficia del Reddito. “Io a casa non ce l’ho, ora mi posso sedere”, replica sarcastico un beneficiario. Non tutti hanno però voglia di parlare. “Colpa dello stigma e della vergogna gettata contro di noi”. Chi lo fa, attacca, come un giovane percettore: “La disoccupazione e la povertà non sono scelte individuali, né una strana perversione di milioni di persone in Italia. Sono una condizione sociale ed economica in questo Paese, che impatta soprattutto al Sud”.
Altri, in piazza, hanno un’età più alta: “Ho 63 anni, lavoro da quando ero ragazzino, andavo in cantiere con mio zio. Ho recuperato la scuola con le 150 ore. Vengo da una famiglia con dieci figli, c’era bisogno di aiutare per vivere. Ma di contratti regolari ne ho visti pochissimi nella mia vita”, racconta un altro percettore. “Qualche anno fa, poi, mi sono sentito male mentre lavoravo, ero in nero, da allora mi è stato detto che non potevo più fare quel tipo di lavoro. Ho chiesto il Reddito, mi ha permesso di sopravvivere“.
Sono storie che si ripetono, come quella di M., 58 anni, al quale da poco tempo è stata assegnata una casa popolare: “Sono single, i 500 euro di Reddito mi bastano giusto per pagare spese ed utenze, è poco. Meloni e i politici vogliono toglierci la dignità“. Proposte di lavoro ricevute? Nessuna. “Non mi hanno mai chiamato”.
“Si rischia un disastro sociale“, c’è chi attacca in piazza, di fronte alla decisione del governo di abrogare il reddito dal 2024 e “sostituirlo da una nuova riforma”. E con gli ‘occupabili‘ che nel 2023 lo riceveranno soltanto per 7 mesi, dopo che tra gli emendamenti alla manovra c’è stato un ulteriore taglio al Rdc per fare cassa. Ma non solo, dato che il sussidio si perderà, ora, già dopo la prima offerta rifiutata, anche se questa non viene considerata ‘congrua’, dopo la nuova stretta votata nella notte in commissione con un emendamento a prima firma Maurizio Lupi, tra la contrarietà del M5s. “Abbiamo sentito il sottosegretario del Lavoro, il leghista Claudio Durigon, dire che ‘non è una dramma, che basta ‘tornare a lavorare’. Forse non sarà un dramma per lui, con il suo lauto stipendio da parlamentare. Ma lo sarà per tante persone, spesso definite in teoria ‘occupabili’, ma che non lo sono”, attaccano dal presidio. La manovra, al di là dei ritardi del governo, non riusciranno a fermarla, ma l’obiettivo è rilanciare una nuova assemblea pubblica, a fine gennaio. “Mentre ci stiamo battendo in Parlamento contro una manovra che ha al suo interno il virus dell’ingiustizia sociale, in tanti sono davanti al ministero del Lavoro per dare voce e forza a chi non si rassegna a un futuro di povertà. Siamo con loro“, ha rivendicato il capogruppo M5s alla Camera Francesco Silvestri, rivolto a comitati e percettori in presidio. Come Laura, che ora teme per il suo futuro: “Se il lavoro diventa sfruttamento, allora non viene rispettata neanche la Costituzione. Forse occorre ricordarlo, ma il lavoro non è un privilegio, è un diritto“.
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