In questi giorni tragici, il popolo peruviano sta pagando un ingente tributo di sangue: sono già decine (ad oggi ventidue, ndr) le vittime delle proteste represse dalla polizia, persone che scendevano in piazza per ottenere il sacrosanto rispetto della propria volontà espressa in occasione delle ultime elezioni presidenziali che hanno visto l’affermazione del leader popolare Pedro Castillo.

L’ampia partecipazione popolare a queste manifestazioni hanno indotto il ministro della Difesa peruviano, Alberto Olarola, a disporre l’intervento repressivo delle Forze Armate, ponendo in tal modo le basi del massacro che si è purtroppo verificato, dato anche il ricorso ad armi particolarmente letali, come denunciato dal governatore regionale di Cusco e presidente dell’Assemblea Nazionale dei Governi regionali Jean Paul Benavente García, che ha chiesto un immediato cessate il fuoco.

La trasformazione di quella che avrebbe dovuto una normale dialettica istituzionale in uno scontro feroce dipende evidentemente dal carattere di classe della contrapposizione esistente che vede schierato da in lato il popolo lavoratore e dall’altro le oligarchie nazionali ed internazionali. L’elezione di Castillo aveva in effetti suscitato enormi speranze in quella parte, assolutamente maggioritaria in termini numerici, del popolo peruviano che è formata da contadini e lavoratori spesso di origine indigena. Le speranze, che seguono a vivere e resistere, come dimostrato dalle grandi manifestazioni popolari in corso, sono relative in sostanza a due grandi temi.

Il primo è quello relativo a una distribuzione finalmente equa ed orientata al soddisfacimento dei bisogni popolari, delle notevolissima risorse derivanti dallo sfruttamento delle materie prime. Ma anche a uno sviluppo davvero sostenibile e orientato a realizzare le esigenze nazionali e non quelle delle multinazionali. Il secondo tema, strettamente connesso al primo, è quello della ripresa del progetto di integrazione regionale latinoamericana in diretta contrapposizione agli interessi dei poteri economici transnazionali e dell’ imperialismi statunitense.

Pedro Castillo ha incarnato queste aspirazioni e questi desideri e sulla scelta della sua persona si è pertanto indirizzata la maggioranza del popolo peruviano.

Tale volontà è stata duramente contrastata, fin dal momento delle elezioni, da due fattori di odine istituzionale. Il primo consiste nell’inesistenza di un adeguato schieramento parlamentare a sostegno di Castillo, nonché di un partito organizzato è radicato sul territorio nazionale che lo sostenga, con la conseguente formazione di maggioranze parlamentari labili, esposte alle pressioni internazionali e interne da pare di gruppi di potere economico e politico, nonché alla corruzione. Il secondo fattore invece è dato dall’inesistenza di un’adeguata cultura dell’indipendenza del sistema giudiziario che spalanca le porte ad operazioni di strumentalizzazione che, colla scusa della lotta alla corruzione, inventano campagne giudiziarie e mediatiche volte a screditare presidenti, come Castillo, che risultano ostili e fastidiosi rispetto agli interessi del potere costituito.

Sul piano sociale va registrata la presenza anche in Perù, come in altri Paesi, la presenza di un’ampia classe media che timorosa del declassamento e di essere confusa, perdendo i propri privilegi spesso insignificanti e comunque sempre meno tali, col resto del popolo. Si tratta di un fenomeno non trascurabile, come si è visto di recente in Brasile, coi troppi voti andati al criminale contro l’umanità Bolsonaro, ma anche nello stesso Perù, dove molti voti sono andati alla figlia e sodale di un altro famigerato criminale contro l’umanità come l’ex presidente Fujimori.

Sono convinto che questa reazione non abbia di fronte a sé alcun futuro dato che è contraria ad elementari principi di giustizia e sovranità.

Già in Brasile è chiaramente fallito il tentativo di Bolsonaro di scimmiottare Trump, chiamando i suoi sostenitori a manifestare contro presunti brogli elettorali ed elevando accorati quanto patetici ma inascoltati appelli alle Forze Armate affinché ristabiliscano contro la volontà popolare il suo mandato presidenziale oramai definitivamente tramontato. In Bolivia, il golpe contro Evo Morales tentato dalla destra e durato un anno e poco più e la presidente Jeanne Anez fantoccio che si era prestata all’operazione è stata giustamente associata alle patrie galere nonostante la risoluzione adottata dall’oggi più che screditato Parlamento europeo.

Vanno pertanto sostenute oggi con convinzione dai manifestanti che scendono in piazza in Perù e cioè la liberazione immediata del leader popolare e presidente legittimamente eletto Pedro Castillo e lo svolgimento al più presto di nuove elezioni presidenziali e politiche.
È questa la strada per restituire finalmente il Perù alla famiglia delle nazioni latinoamericane, oggi incamminate nuovamente, dopo una parentesi di alcuni anni, verso un destino comune.

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