Deve avere un’affezione particolare per il 4 dicembre. A sei anni esatti dalla sconfitta sul referendum costituzionale, Matteo Renzi lancia una nuova scommessa. Se quel giorno, travolto dal voto degli italiani, fu costretto ad annunciare le sue dimissioni, oggi la partita è tutt’altra: “Nel 2024 noi saremo il primo partito e Meloni andrà a casa”, la sintesi del suo pensiero. Alla fine non lasciò, oggi raddoppia: nel 2023 il percorso per la federazione con Azione in vista di un partito unico, non subito ma per le Europee in programma tra due anni. Dove si dice sicuro che il suo e quello di Carlo Calenda, a quel punto ormai un unico partito, saranno i più votati. Una sliding doors, l’appuntamento con il rinnovo dell’Eurocamera: “Il momento in cui il governo Meloni rischia di andare a casa. Fino alle Europee ci arriva, dopo non so”.

Sul palco del MiCo di Milano ci resta per un’ora e mezza per illustrare la sua relazione all’assemblea nazionale di Italia Viva. E, per chiarire cosa sia ormai il suo contenitore pronto alla federazione con Calenda, sceglie come titolo “Palla al Centro”, che è “un grande riferimento politico”. I novanta minuti sono conditi dai consueti giochi di parole, a partire dal nome del suo discorso: “Scelta”, lo chiama che sarebbe l’acronimo di salute, cultura, Europa, lavoro, territorio e avvenire. Cinque parole-chiave che vorrebbero essere un manifesto. Quindi le tappe: dopo la federazione con il partito di Calenda sarà il momento del via del tesseramento 2023 e di alcune modifiche dello statuto che “valorizzano anche un maggior impegno, in prima persona, di Matteo Renzi”. E se cambia la fisionomia del partito, dice, “io non lascio il campo e seguirò anche personalmente questo tema”. Insomma, anche se Calenda resterà leader, nessun disimpegno per lui.

Ampio spazio, come sempre, alle critiche agli avversari. Il leader del Movimento Cinque Stelle diventa “Giuseppe ‘condono’ Conte”. Quindi la parte che all’ex presidente del Consiglio piace sempre di più: le bordate al Partito Democratico. Contro cui sbotta così: “Voglio fare un augurio agli amici del Pd. Ricordatevi che c’è stato un tempo in cui il Pd vinceva le elezioni, in cui prendevamo il 40,8%. Quella stagione è finita perché avete portato in guerra chi vi portava a vincere”. Quindi afferma: “Siamo legati alla comunità del Pd con un sentimento di affetto, noi non siamo avversari, siamo da un’altra parte e non abbiamo mai concepito questa nostra esperienza come una rivalsa”. E non si capisce se ci creda almeno lui. Finita? Macché. Con il Pd “abbiamo un rapporto complicato” e in queste ore “tanti ex amici mi dicono: ‘Matteo se solo fossi rimasto sarebbe stata un’altra storia’”. Ma “vorrei dire a questi amici – ha concluso- che, se noi fossimo rimasti nel Pd, non avremmo mai potuto giocare il nostro ruolo come in questi mesi. Se fossimo rimasti nel Pd avremmo al governo ancora Conte e non avremmo mai avuto Draghi”.

Quindi un “in bocca al lupo” a Stefano Bonaccini e a Elly Schlein “che si è fatta candidare da noi”. Quindi siccome è legato da un “sentimento di affetto” al Pd, ecco la rasoiata: “Lei e Brando Benifei, se non avessero avuto un partito che scommise sulla rottamazione, non sarebbero mai andati al Parlamento europeo. Lo dico così ci togliamo un po’ di sassolini”. A stretto giro la replica di Schlein: “A Renzi, che dice di averci portato in Parlamento, dico di non dimenticare che per quanto mi riguarda a portami in Parlamento furono 50mila preferenze. Renzi ha il merito di aver spinto me e tanti altri fuori dal Pd con una gestione arrogante. Ha ridotto il Pd in macerie e poi se n’è andato”.

Renzi riesuma anche il tormentone Mes (il fondo Salva-Stati dell’Unione europea), una sorta di ossessione nelle ultime fasi del governo Conte e poi totalmente dimenticato con Draghi a Palazzo Chigi. “I 37 miliardi di euro del Mes o li prendi ora o non li prendi più. La situazione dei mercati rende conveniente prendere quei denari”. Per fortuna, almeno, che ha ritrovato sintonia con Calenda dopo mesi di botta-e-risposta sotterrati nel nome dell’alleanza elettorale. Quindi le proposte portate da Calenda a Palazzo Chigi, dal Rei a Industria 4.0, passando per il ripristino dell’unità di missione anti-dissesto, rappresentano un “tutorial” sulla legge di Bilancio, definita “mediocre”. E non preludono a un ingresso nella maggioranza a sostegno di Giorgia Meloni: “Nessuno spostamento a destra. Non si entra al governo, si sta all’opposizione”. Poi la previsione sul 2024, con la leader di Fdi a casa e Azione-Italia Viva primo partito nelle urne. Lo immagina come “la casa definitiva dei nostri progetti europei politici e italiani”.

Ha dimenticato qualcuno? I magistrati del caso Open, a cui quindi dedica un passaggio. Renzi si stringe “alle tante persone che hanno un’attività e sono messe nel terribile vortice delle indagini giudiziarie”. E aggiunge: “In queste ore sta arrivando un attacco al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, solo perché ha detto: ‘Faremo un’ispezione e vedremo se i fatti che Renzi denuncia sono veri o no’. È partita l’Anm e la redazione del ‘Fatto’. La domanda è tutta lì: le sentenze della Cassazione valgono solo per i cittadini o anche per i pm, anche per quel pm?”. Prima delle Europee e della nuova grandeur immaginata da Renzi, ci sono le Regionali. Si vota in Lombardia e lui parla da Milano: “Lo sanno gli amici del Pd lombardo: se Majorino decide di fare il vice della Moratti, noi in Lombardia si vince e dopo 30 anni la Lombardia cambia colore. Io ci credo fino all’ultimo”, immagina nonostante i sondaggi diano la sua candidata al 15% e Majorino al 29%. Quindi una nuova carezza ai dem: “Se vi fa schifo vincere e vi piace partecipare, cambiate nome al partito e chiamatelo Partito de Coubertin”. Per fortuna che trattasi di affetto.

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