Saltano fino a tre metri e raggiungono i 70 km all’ora i levrieri spagnoli. Benché mansueti e facilmente addomesticabili, anche se si trovano da molti anni in Italia restano nel profondo del loro cuore caparbiamente ritrosi, e facilmente si spaventano perché nel loro dna di esseri delicati e leggeri è stabilmente impresso il terrore di venire impiccati a un albero o picchiati a morte sulla testa con un palo chiodato: cosa che per molti dei loro fratelli puntualmente si verifica, ancora e ancora, a fine febbraio, quando termina in Spagna la stagione della caccia e i galgueros festeggiano non si sa quale dio dell’abbrutimento estremo (1).

Così se per un incidente o per la distrazione dei padroni scappano, i levrieri girano in preda ai pensieri più strani, e non bastano richiami e scongiuri per riportarli a casa: ci vuole Debora, che risponde al vostro s.o.s. arrivando ovunque voi siate alla guida di un furgoncino modello Castello errante di Howl, un microcosmo magico e strampalato dove ogni centimetro quadrato è stato analizzato e sfruttato per renderlo funzionale allo scopo: riportare ai loro padroni non soltanto gli aristocratici levrieri dalle lunghe zampe, ma qualunque cane di qualunque razza, stazza e carattere si sia perduto.

Nella vecchia Renault di Debora si trova stipata in modo da essere raggiungibile in pochi secondi un’inverosimile quantità di cose: due gabbie di metallo smontabili, una grande e una piccola, con apertura/chiusura telecomandata; un drone termico; tre telecamere che sono l’indispensabile prolungamento dell’occhio umano nel territorio che circonda la gabbia (spesso piazzata in luoghi impervi, boschi, greti del torrente, capannoni industriali) alcune fototrappole, due telefonini e l’occorrente per improvvisare un recinto di fortuna. E poi: guinzagli e pettorine; una onnivora borsa termica con scorte di mortadella, pollo e würstel per sedurre i cani da catturare, quasi sempre affamatissimi (nella borsa termica destinata a Debora ci sono invece insalate e tramezzini vegan cruelty free); infine: coperte e cuscino per dormire; cambio di vestiti, quel che serve per lavarsi e disinfettarsi; cavi, caricabatteria, gomme di scorta.

Se Debora è il jolly appostato dietro a un muro o nascosto da una fitta siepe, nelle retrovie ci sono gli indispensabili puntelli: la sorella Veronica e l’amato efficientissimo marito Andrea, esperto di automazione industriale, che da casa fornisce consigli e aiuta Debora a restare sveglia nelle lunghe notti di ricerca infruttuosa; e ci sono gli altri volontari: sette soci più un imprecisato numero di amici disseminati ovunque di Acchiappalevrieri l’associazione cui Debora (che di cognome fa Fiora, 45 anni, originaria di Varese, decoratrice di professione) ha dato vita dodici anni fa.

A volte le cose scorrono via come l’olio. Billa una piccoletta di 6 chili dispersa da tre mesi sui monti dell’Ossola fu catturata in una sola fortunatissima notte di settembre (ne sono stata testimone io stessa, nda). Ma non sempre va così bene. Il lieto fine a volte non arriva oppure tarda allo spasimo. Ricorda Debora: “Cinque anni fa, nelle Marche, ci abbiamo messo sei mesi a prendere Chantal, una galga che compariva e poi scompariva per giorni. La davamo per morta e invece era ancora viva. Non ci siamo arresi: Veronica ha mollato tutto e si è trasferita a Macerata. E alla fine Chantal è tornata a casa.

Dicono gli amici che quando cerca un cane a Debora per la concentrazione cambia addirittura la faccia: “Sì, è possibile” ammette: “Cerco di non trascurare neanche il più piccolo dettaglio che possa fare la differenza. In quei momenti ce la fai solo se impari a ragionare da cane come quel cane spaventato che stai cercando. Non ci sono manuali che te lo possano raccontare”.

Le foto trappola, che ai cacciatori servono per inchiodare la loro prossima preda, servono a Debora per penetrare nel mondo dei cani fuggiaschi che nel profondo dei boschi fanno amicizia con le volpi o con gli altri animali selvatici. E’ una lezione importante sulla possibile solidarietà tra esseri viventi di specie diverse. Se la gratificazione numero uno per chi fa il suo lavoro è riportare a casa il cane; la gratificazione numero 2 è scoprire che le ricerche stesse possono diventare un’importante esperienza collettiva di sostegno tra la gente del luogo: un evento che si sedimenta e lascia una traccia nel cuore delle persone.

Acchiappalevrieri è una organizzazione di volontariato che non presenta il conto per ciò che fa (può solo accettare offerte a discrezione dei donatori). Da quando esiste ha riportato a casa oltre duemila cani. Una quindicina continua a cercarli. Contro l’incultura di chi “ama tanto gli animali” dal salotto di casa, Debora e gli altri volontari di Acchiappalevrieri, dimostrano con i fatti che amare gli animali è un mix bellissimo di istinto, empatia, razionalità e impegno. E’ dedizione. E’ precisione, contro ogni possibile leggerezza e improvvisazione.

* (1) a centinaia finiscono anche dentro ai pozzi, segregati in tuguri o con le zampe spezzate affinché non possano tornare a casa e muoiano. Le pene per gli attori di questi abominii? Qualcuna sulla carta, in pratica nessuna.

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